Metalli pesanti, benzene e idrocarburi policiclici aromatici. Sono le sostanze che un rapporto realizzato dall’Ispra per conto dell’Eni ha riscontrato nelle cozze “da piattaforma” che l’azienda commercializza regolarmente attraverso due cooperative di pescatori. Per questo motivo Greenpeace – che ha raccolto i dati nel dossier “Trivelle fuori legge” – ha chiesto all’Arpa Emilia Romagna quali garanzie esistano sull’assenza di contaminazione nelle cozze “da piattaforma” immesse in commercio.
Il tutto accade in Emilia Romagna, a Ravenna dove da anni sui piloni sommersi delle piattaforme estrattive di Eni, le cozze hanno individuato l’habitat ideale per riprodursi spontaneamente, grazie al divieto di pesca e di avvicinamento delle imbarcazioni che ne tutela l’integrità ambientale. (continua dopo l’infografia)
Sul suo sito l’azienda si prodiga nel raccontare le caratteristiche “uniche” della “cozza di Ravenna”: “dal sapore delicato per la scarsa salinità dell’acqua, è un prodotto d’eccellenza unico, visto il contesto in cui cresce. Questi mitili, rispetto a quelli di allevamento, sono più grandi e il loro guscio, essendo più resistente, garantisce una miglior conservazione del mollusco”.
Metalli pesanti e Ipa: contaminanti pericolosi
Peccato che siano contaminate da metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e arsenico), benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici e che finiscano nel mercato locale, quindi, sulle nostre tavole. “Molte delle sostanze rinvenute da Ispra nelle cozze raccolte presso le piattaforme di Eni sono note per essere cancerogene”, afferma Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace. “Sostanze come il cadmio e il benzene sono inserite nel gruppo 1 dello Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro delle Nazioni Unite), ovvero tra le sostanze il cui effetto cancerogeno sull’uomo è certo”.
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Almeno 7 mila quintali di cozze commercializzate
Non ci sono dati certi sulla quantità di prodotti provenienti dalla zona ma, secondo le stime di Greenpeace, questi molluschi coprirebbero il 5 per cento della produzione annuale della Regione Emilia Romagna. Solo nel 2014 sarebbero stati immessi sul mercato italiano 7 mila quintali di cozze “da piattaforma”.
“Chiediamo un rapido intervento delle autorità competenti affinché sia garantita trasparenza. E, se necessario, chiediamo che si attuino tutte le misure necessarie per tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori italiani”, conclude Ungherese.