Il nostro test su 20 spaghetti industriali ha monitorato e reso pubblici i livelli di furosina, un contaminante legato alla temperatura di essiccazione. Abbiamo sentito due esperti e raccolto due opinioni contrastanti tra chi sostiene che servirebbe un limite e chi invece ritiene che sia inutile cercarla nei cibi.
Intorno alla furosina, il contaminante che si sviluppa nella pasta essiccata ad alta temperatura dalle industrie italiane, si è aperto un dibattito aspro tra chi sostiene che si tratta di un valore da tenere sotto controllo e, anzi, preannuncia futuri limiti europei e chi, addirittura, sostiene che sia una sorta di bluff, un valore che è inutile cercare.
Nel numero in edicola del Salvagente abbiamo riportato tutti i valori che abbiamo ottenuto analizzando i 20 spaghetti industriali più venduti nel nostro paese. Con differenze anche notevoli tra le paste in commercio. E abbiamo chiesto a due esperti di aiutarci a comprendere come interpretarli. Con risposte decisamente divergenti come scoprirete.
Emanuele Marconi: “Inutile cercarla negli alimenti”
“La furosina è un composto che, come tale, non è presente nella pasta e negli alimenti: pertanto non ha senso stabilirne un profilo tossicologico e conseguentemente un limite di legge”. Un’affermazione netta sostenuta da un curriculum di tutto rispetto come è quello di Emanuele Marconi ordinario di Scienze e tecnologie alimentari al Campus Bio-Medico di Roma, direttore del Centro alimenti e nutrizione del Crea e presidente dell’Aistec, l’Associazione italiana di scienza e tecnologia dei cereali.
Professor Marconi, perché sostiene che la furosina non esiste negli alimenti?
La furosina è un artefatto analitico utile per quantificare la prima fase della reazione di Maillard. È un amminoacido non naturale generato a seguito di una specifica preparazione del campione analitico in laboratorio.
Perché allora la si ritrova nella pasta?
Ribadisco che, come tale, non è presente nella pasta, si tratta di un artefatto analitico utilizzato per quantificare il composto di Amadori – presente nell’alimento – che caratterizza la prima fase della reazione di Maillard.
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Esistono studi anche recenti che la indicano come marcatore delle modalità di essiccazione della pasta. Quindi non solo viene misurata ma anche “usata” dall’industria…
La furosina può essere utilizzata come marcatore di processo dell’intensità del trattamento termico di essiccazione della pasta e del danno termico in termini di perdita di lisina bio-disponibile.
Quindi lei non ritiene neppure che serva un limite di legge per questa sostanza?
Non ce n’è bisogno per diverse ragioni: il composto di Amadori – valutato attraverso la furosina – non presenta tossicità per l’uomo, la sua formazione dipende non solo dall’intensità del trattamento termico ma anche dal momento di somministrazione delle alte temperature durante il diagramma di essiccamento, dal formato della pasta, dalle caratteristiche della semola-semola integrale… È un indicatore molto utile agli operatori del settore e ai pastifici per modulare i diagrammi di essiccazione al fine di ridurre il danno termico e ottenere paste sempre più apprezzate dal consumatore.
Studi in vitro e in vivo sugli animali ne hanno però accertato la tossicità epatica e renale. Come si spiega dal suo punto di vista?
Si spiega da sé: non essendo presente negli alimenti non ha senso, in questo contesto, parlare di tossicità di tale sostanza.
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Giuseppina Marilia Tantillo: “E invece dice la verità sulla pasta”
“Adesso molte aziende ricercano la furosina nella pasta e pensare che il mio studio è stato prima ignorato e poi osteggiato. Ora mi auguro che la politica fornisca una valutazione legislativa su questa sostanza nell’interesse del consumatore”.
La professoressa Giuseppina Marilia Tantillo, docente di Ispezione degli alimenti presso il Dipartimento interdisciplinare di Medicina dell’Università di Bari, è tra le pochissime ricercatrici ad essersi interessata della presenza della furosina nella pasta. “Con la nostra indagine abbiamo voluto accertare la veridicità di dichiarazioni riportate in etichetta, legate alla tradizionalità della produzione come ad esempio “pasta a lenta essiccazione”. Abbiamo pertanto determinato il valore di furosina, quale indicatore del rapporto temperatura/tempo utilizzato per il processo di essiccazione e marker del conseguente danno termico nei confronti delle proteine. I nostri risultati dimostrano la necessità di definire un limite di legge per la furosina nella pasta”.
Professoressa Tantillo, cos’è la furosina?
Parliamo di un composto che si forma per effetto della reazione di Maillard: qualsiasi alimento che contiene zuccheri riducenti e proteine-amminoacidi, sottoposto all’azione del calore dà origine alla furosina.
Perché la ritroviamo nella pasta?
Nella farina sono presenti sia carboidrati che proteine e lisina, un amminoacido essenziale, che viene completamente distrutto dalle alte temperature.
A quale temperatura si ha la formazione di furosina?
Una temperatura di essiccazione inferiore a 50° C limita il danno termico, e i quantitativi di furosina che si formano risultano inferiori a 70-80 mg/100 g di proteine; le aziende virtuose utilizzano una essiccazione lenta a bassa temperatura (50-70°C) per oltre 36 ore, mentre le produzioni industriali adottano temperature superiori a 110°C per tempi di essiccazione brevi (3-4 ore); in questo caso si forma una elevata quantità di furosina, che può superare i 500-600 mg/100 g di proteine.
Meno tempo e più “calore” per contenere i costi?
Evidentemente c’è una ragione industriale. Di sicuro l’essiccazione ad alta temperatura per tempi brevi non soddisfa la “tradizionalità” della produzione della pasta italiana, e incide pesantemente sulla qualità nutrizionale.
Cosa è emerso dal vostro studio e perché lo avete condotto?
Il nostro studio voleva accertare la veridicità di alcune definizioni volontarie riportate in etichetta: “Lenta essiccazione”, “Metodo tradizionale”, “Essiccazione tradizionale” che probabilmente avevano lo scopo di valorizzare talune produzioni e offrire al consumatore la possibilità di fare scelte consapevoli legate alla tradizione della pasta italiana e al valore nutrizionale. Poiché la “tradizione” nella produzione della pasta è legata essenzialmente al processo di essiccazione abbiamo utilizzato la furosina quale indicatore delle temperature di essiccazione utilizzate. Abbiamo acquistato 16 confezioni di pasta corta, di queste 9 riportavano in etichetta indicazioni circa la tradizionalità e l’essiccazione lenta; su tutti i campioni abbiamo ricercato il valore di furosina effettuando le analisi presso un laboratorio accreditato per tale indagine. I risultati hanno dimostrato che anche la maggior parte dei campioni che riportavano in etichetta l’indicazione di essiccazione lenta, superavano il valore di 110 mg/100 g di proteine di furosina, mentre i campioni senza alcuna precisazione presentavano valori elevatissimi, oltre i 500-600mg/100g di proteine
Ad oggi non c’è un limite di legge: voi quali soglie avete assunto?
L’esperienza analitica, ci consente di indicare il valore massimo di furosina nella pasta corta di 80 mg/100 g di proteine, e per la pasta lunga, il valore massimo di 120 mg/100 g di proteine.
Il suo studio è del febbraio scorso. Ancora deve essere pubblicato. Ha proposto anche alla politica di prenderlo in considerazione. Le risposte?
Lo studio non è stato ancora pubblicato, i referee (coloro che devono vagliare uno studio, ndr) hanno richiesto analisi da effettuarsi in diversi step e durante l’intero ciclo di essiccazione previsto, indagini che possono essere effettuate ovviamente solo nelle aziende e con costi esorbitanti; ciò mi autorizza a pensare che il lavoro non si voglia pubblicare. La definizione di un limite di legge per la furosina nella pasta è stata proposta al ministero delle Politiche agricole, ma non abbiamo ricevuto finora alcuna risposta. Mi auguro che arrivi dal nuovo ministro.
Lei cosa si aspetta?
La definizione del limite massimo di furosina nella pasta italiana prevista da una norma, a supporto della qualità nutrizionale e per la verifica del processo di essiccazione tradizionale. La determinazione della furosina da anni è richiesta per il latte e per i formaggi freschi a pasta filata allo scopo di svelare frodi dovute all’aggiunta di latte in polvere. Funziona… perché non usarla anche nella pasta?
La furosina può avere effetti sulla salute? Qual è lo stato dell’arte della ricerca?
Premesso che non sono una tossicologa, e che la letteratura scientifica riporta studi in vitro e in vivo che dimostrano la tossicità della furosina su reni e fegato, ritengo tuttavia corretto poterla definire come “molecola glicata”; le evidenze scientifiche correlano la presenza di tali molecole nell’organismo umano con numerosi processi infiammatori, patologie dismetaboliche obesità, aterosclerosi e insufficienza renale. Per questi motivi ritengo che l’Efsa debba intervenire per stabilire su base scientifica un livello massimo di assunzione tollerabile settimanale o giornaliero di furosina, in ragione delle abitudini alimentari e della presenza di molecole glicate in diversi alimenti.
Dopo la puntata di Indovina chi viene a cena della Giannini in cui ha mostrato i risultati del suo studio, l’industria sembra aver “scoperto” questa sostanza: tutti la monitorano. I consumatori possono “riconoscerla” dal colore della pasta?
Se escludiamo la pasta integrale, il colore tendente al caramello deve farci riflettere, il colore avorio della pasta, al contrario, solitamente si accompagna a valori di furosina bassi.