Quanto dura uno yogurt? Per i produttori anche 40 giorni e abbiamo imparato che si può consumare per settimane senza rischi. Le nostre analisi, però, scoprono che già dopo qualche giorno sugli scaffali i fermenti lattici non assicurano alcun beneficio. E allora perché non dichiarare anche la data di produzione?
Buoni per digerire, per mantenere in equilibrio il nostro intestino, per mantenerci in salute. Gli ingredienti di successo di uno yogurt ci sono davvero tutti, in una società che è alla continua caccia di un superfood come quella moderna. Per la verità la scoperta della funzione di probiotici – ovvero secondo la definizione ufficiale di Fao e Oms, dei “microrganismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite”- ha origini antiche. Si deve a Elie Metchnikoff, scienziato russo e premio Nobel, che osservando la longevità delle popolazioni balcaniche, grandi consumatrici di yogurt, ipotizzò un possibile effetto benefico e protettivo della flora batterica. Secondo il ricercatore russo la fermentazione lattica arrestava i fenomeni putrefattivi causati dagli alimenti stessi. Da queste osservazioni, i probiotici sono divenuti oggetto di ricerche e studi clinici.
Yogurt e batteri: quando il numero fa la differenza
I dati fino a ora ottenuti confermano il ruolo positivo su una varietà di disturbi gastrointestinali, extraintestinali e sul sistema immunitario. E hanno acceso un mercato davvero interessante per chi li propone attraverso medicinali e supplementi dietetici. E, non ultimi, alimenti come gli yogurt e simili che continuano a moltiplicarsi sugli scaffali dei supermercati vantando la presenza e i vantaggi che deriverebbero dalla loro assunzione. Il condizionale è d’obbligo per una serie di ragioni: innanzitutto perché non tutte le specie di batteri buoni che sono alla base degli yogurt hanno davvero effetti riconosciuti dalla scienza, poi perché anche nel caso dei microrganismi che ufficialmente possono essere benefici, conta – e non poco – la loro concentrazione in un vasetto di alimento.
Di tutti quelli che consumiamo, infatti, solo una sparuta minoranza riesce a passare attraverso l’azione aggressiva dei succhi gastrici e arrivare viva nell’intestino. Ma quanti ce ne sono effettivamente nel vasetto di yogurt che acquistiamo e quanti sopravvivono durante la vita commerciale di uno yogurt?
Abbiamo messo alla prova i vasetti
Per cercare delle risposte il Salvagente ha chiesto aiuto ai laboratori del gruppo Maurizi per uno studio in grado di valutare la concentrazione dei batteri lattici (L. bulgaricus – S. termophilus) vivi nello yogurt per tutta la sua shelf life (ossia la vita garantita a scaffale). Non solo, abbiamo cercato di capire anche cosa accada dopo la scadenza: i batteri lattici rimangono effettivamente vivi, e a quali concentrazioni?
Il 14 febbraio abbiamo acquistato nove vasetti di yogurt cremoso bianco zuccherato senza aromi artificiali in commercio con data di scadenza 26 febbraio. Il numero dei campioni è stato in triplice per ciascun tempo di analisi per ottenere dei dati scientificamente validi.
I campioni utilizzati per le prove microbiologiche sono stati opportunamente omogenizzati per ottenere un campione rappresentativo e arricchiti con appositi brodi indicati dalla normativa di riferimento per la prova dei batteri lattici.
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Passano i giorni, diminuiscono i benefici
Il nostro studio mostra ovviamente che la concentrazione di batteri lattici diminuisce al trascorrere dei giorni, passando da una concentrazione di miliardi di microrganismi vivi a qualche centinaia di migliaia alla data di scadenza dello yogurt. Tre giorni dopo la scadenza, i batteri lattici sono diminuiti ancora, raggiungendo la concentrazione di poche decine di migliaia di unità per grammo.
Dai numerosi studi effettuati su differenti ceppi di batteri lattici con riconosciuta capacità colonizzante si è potuto apprendere che la dose giornaliera consigliata si aggira intorno a miliardi di cellule vive per persona adulta, dose che può essere assunta consumando yogurt e latti fermentati per i quali è accettato un valore minimo di batteri probiotici vivi alla scadenza non inferiore a qualche centinaio di milioni di unità per grammo. Dallo studio che abbiamo effettuato, dunque, appare evidente che alla scadenza i prodotti avevano un numero di microrganismi non in grado di assicurare l’azione benefica su cui fa affidamento il consumatore.
Perché non ci dicono la data di confezionamento?
Dal nostro studio emergono due conseguenze che crediamo siano importanti per i consumatori. Se è vero, come più volte hanno testimoniato i dati e anche le inchieste del Salvagente, che lo yogurt, rispettando la catena del freddo, può essere consumato anche dopo la scadenza senza pericoli è anche vero che “invecchiando” non ci assicura alcuna azione probiotica, ossia non ci garantisce alcun beneficio.
Per avere la certezza che questa attività probiotica possa davvero essere assicurata dal consumo regolare di uno yogurt, in realtà, dovremmo sempre optare per un prodotto vicino alla data di produzione. Dato che questa non è obbligatoria, ripiegare su una data di scadenza il più lontana possibile dalla data di fine vita impressa in confezione per il consumatore non è facile. Soprattutto se si considera che abbiamo trovato sul mercato yogurt che scadono dopo 28 giorni accanto ad altri che arrivano anche a 40 giorni.
Sarebbe il caso, osserviamo, che l’industria dichiarasse la data di confezionamento. Almeno se vuole garantire che i tanti claim salutistici che appaiono nelle pubblicità o sulle etichette non finiscano per essere smentiti dai fatti.