Pane, pasta, biscotti al farro: in Germania 1 su 5 li taglia col più economico frumento

FARRO

Quanto farro c’è nei prodotti di farro? Sembrerebbe un gioco di parole ma è esattamente quello che si sono chieste le autorità pubbliche tedesche che lo scorso anno si sono attrezzate per analizzare 133 alimenti a base di farro. E quello che hanno trovato non li ha di certo rassicurati.

Che si tratti di pane, biscotti o pasta, i prodotti di farro sono molto apprezzati dai consumatori. Il farro è considerato originale e naturale e si dice anche che abbia una migliore tolleranza alle proteine ​​del grano rispetto al grano convenzionale, anche se le prove scientifiche su questo sono finora solo scarse. E dato che i consumatori sono disposti a pagare un prezzo più alto per questi prodotti, il controllo delle miscele diventa interessante.

La metà dei campioni analizzati conteneva solo bassi livelli di contaminazione da frumento tenero del 5% e meno. In un altro 28% dei campioni, la contaminazione era ancora entro l’intervallo di tolleranza (fino al 10%). Tuttavia, 29 su 133 campioni (più di uno su 5) hanno mostrato una contaminazione significativa da frumento tenero dal 10 al 20%. Il termine “farro” è stato giudicato ingannevole, soprattutto nel caso di proporzioni superiori al 20% e di utilizzo esclusivo del farro come tipo di frumento. Il maggior numero di campioni contaminati sono stati quelli di pasta.

Il farro (in botanica Triticum spelta) è strettamente correlato al frumento tenero o tenero (Triticum aestivum). Essendo un tipo di grano robusto che richiede solo scarse esigenze di terreno e fertilizzazione, è considerato naturale. A causa della minore resa e della più complessa estrazione del chicco, i prezzi alla produzione del farro sono circa il 25% superiori rispetto al frumento convenzionale; nella vendita al dettaglio questa differenza è spesso ancora maggiore. Gli apporti di frumento convenzionale non possono essere completamente evitati nel caso della farina di farro proveniente dai mulini ma questa percentuale è considerata tollerabile se non supera il 5%. E va detto che non esistono valori limite previsti nella normativa alimentare.