Era da tempo che una campagna sociale del governo non otteneva un effetto boomerang così potente come quello che in queste ore sta investendo la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin che stamattina ha presentato il #FertilityDay (previsto per il 22 settembre) l’impegno del Governo per spingere gli italiani a procreare più possibile. Che il nostro paese abbia un tasso di natalità drammatico, infatti, è cosa nota. Siamo secondi solo al Giappone, nella classifica dei meno fertili, con 8,18 neonati per mille abitanti (dato che sarebbe più disastroso se non fosse per le famiglie di migranti che alzano la media) quando la media europea è di 10,5. E del resto non è la prima volta in tempi recenti che uno Stato invita pubblicamente i propri cittadini a procreare: un Paese che invecchia oltre ad avere meno forza lavoro e forza di innovazione nel pieno delle proprie potenzialità, è anche destinato a un enorme sbilancio economico a causa della proporzione tra contribuenti attivi e pensionati che dal punto di vista sanitario sono a carico della previdenza pubblica. Ma la forma in tematiche così delicate è sostanza. E la forma scelta dal ministero della Salute italiana è quella che ruota attorno a un unico concetto: donne, sbrigatevi a fare figli perché il tempo sta scadendo. Con buona pace dei sensi di colpa sia per chi non sente alcun desiderio di maternità, nonostante la pressione di parenti e amici, e di chi invece un figlio lo vorrebbe eccome, ma sente di non poterselo permettere dal punto di vista economico. Il Fertility day del ministero (che tra l’altro non prende neanche in considerazione l’infertilità maschile) passa sopra queste “sfumature” come un cingolato e mette in giro cartoline in cui una donna con una clessidra in mano dice: “La bellezza non ha età, la fertilità sì”, o in cui si vede un rubinetto sgocciolante con il claim “La fertilità è un bene comune” (come a dire ‘ date un figlio alla Nazione’), o ancora “Genitori giovani, il modo migliore per essere creativi” a supporto di un’immagine che rimanda all’atto sessuale.
La rabbia e le beffe sul web
Sui social si sono scatenati i commenti di donne indignate per l’intrusione dello Stato nella loro autodeterminazione sessuale e sentimentale, ma non solo. Anche personaggi famosi come Roberto Saviano si sono espressi contro la campagna: “La fertilità è un bene comune? Non lo è. Non è come l’acqua. La fertilità è una caratteristica fisica individuale. Il Ministero della Salute dovrebbe fare ricerca e rendere accessibile la procreazione per quelle coppie affette da sterilità e non invitare genericamente a fare figli. Research&development dovrebbe essere la tendenza e invece questi ci riportano al Medioevo”. E ancora, lo scrittore sull’invito ad essere creativi facendo figli: “Da ovazione, in un Paese con il tasso di disoccupazione come quello italiano, dove chi ha talento, ambizioni e speranze emigra; dove chi non ha la solidità economica di un famiglia che possa garantire studi e accesso alla professione, lascia il Paese, sembra una presa in giro”. Durissima la reazione anche dalla generazione, quella dei trentenni, messa al centro dell’attenzione dal Fertility Day, come dimostra il contro-banner dell’associazione Act-Agire che accanto alla donna con clessidra scrive: “La mia gravidanza dura molto più del mio contratto”, e accompagna l’immagine con un post: “Con grafiche che stanno circolando in queste ore sul web e che invitano la nostra generazione a fare figli “prima che sia troppo tardi” si veicola un messaggio offensivo e senza alcuna attinenza con la realtà e con le nostre vite precarie e difficili. Per fare figli non abbiamo bisogno di marketing o mini incentivi, ma di politiche strutturali, welfare universale, lavoro e continuità di reddito, diritto all’abitare. L’unica vera clessidra è quella della precarietà, il conto alla rovescia verso la fine dei nostri contratti di lavoro Vogliamo essere nelle condizioni di scegliere liberamente, liberi dal ricatto della precarietà”.
L’esempio alternativa della Danimarca
Insomma, un fiasco totale. E dire che in altri paesi lo stesso problema è stato affrontato con un piglio che si è rivelato un successo su entrambi i fronti, quello del consenso e quello dell’aumento della fertilità. Lo scorso ottobre il governo danese ha messo in onda uno spot in cui giovani coppie si davano al sesso allegramente, e si ricordava che un’attività così divertente era utile anche al Paese. Senza il senso di colpa tipico di un paese cattolico come l’Italia, lo spot trasmetteva positività, e ha fatto il giro del mondo. Risultato: lo scorso giugno dalla Danimarca è arrivata la notizia che la campagna aveva funzionato, portando alla nascita di 1200 bimbi in più rispetto alla media. Chissà che la ministra Lorenzin non faccia marcia indietro e non vada a studiare marketing a Copenaghen.
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