Un controllo al contrario: dove è il controllato a monitorare il controllore. L’obiettivo? Evitare che gli accertamenti mettano in cattiva luce le performance dell’azienda. Mettendo nome e cognomi agli attori di questo rapporto contorto tra controllati e controllori, è l’inchiesta condotta da Antonio Massari del Fatto Quotidiano che da giorni dalle colonne del giornale denuncia come Poste Italiane intercetterebbe le lettere-test inviate e spedite dalla Izi – la società incaricata dal governo e dall’Agcom di verificare lo standard di qualità del servizio di recapito svolto da Poste – per rispettare tutti gli impegni del contratto di servizio con lo Stato evitando così multe e assicurandosi 300 milioni all’anno.
“Come la Spectre”
Secondo la ricostruzione di Massari, i controllori dovrebbero essere anonimi e sconosciuti per i “controllati”, ovvero per l’azienda di recapito italiana partecipata dal ministero del Tesoro. Invece, scrive il Fatto, “succede che alcuni funzionari di Poste Italiane hanno agito come una sorta di Spectre, indagando, scoprendo e spiando i controllori e risalendo alle loro spedizioni-campione con cui avrebbero dovuto certificare la buona qualità del servizio”. Il motivo di tutto questo? “Fare in modo – prosegue Massari – che quelle spedizioni- campione non trovassero nessun ostacolo, che il servizio postale italiano potesse essere classificato come perfettamente funzionante per assicurare all’azienda i soldi dello Stato”.
Chi “sorveglia” chi?
Come funziona il monitoraggio della Izi, la società incaricata dal governo e Agcom di verificare la qualità del recapito?
La Izi recluta tra i 400 e i 600 collaboratori che, per testare gli standard di qualità dell’azienda controllata dal ministero del Tesoro, si inviano lettere a vicenda. Questo sistema dovrebbe garantire che i tempi di spedizione e recapito rispettino gli standard di qualità previsti dal contratto di servizio universale tra lo Stato e le Poste, pena una sanzione di 50mila euro fino a un massimo di 500mila euro l’anno.
Peccato che, come sostiene l’inchiesta del Fatto, i nomi di droppers e receivers – come vengono chiamati in gergo i mittenti e i destinatari – invece di risultare segreti a Poste Italiane venivano addirittura schedati e intercettati. E le lettere-test? Una volta intercettate viaggiavano spedite. Il periodo sotto inchiesta individuato dal Fatto è quello tra il 2006 e il 2010, quando l’amministratore delegato di Poste era Massimo Sarmi.
Il test del Salvagente nel 2006
Nel 2006, proprio l’anno in cui secondo l’inchiesta del Fatto sarebbe cominciata l’attività di intercettare le lettere-test, il settimanale Il Salvagente con la collaborazione del Movimento consumatori organizzò un test sul recapito di Poste: spedendo 180 lettere prioritarie totalizzò ben il 31% dei casi di ritardo rispetto agli standard previsti dall’azienda.
L’obiettivo di qualità 2005 impegnava l’azienda a consegnare “in un giorno lavorativo più quello di spedizione l’88% degli invii”, mentre lo standard accertato dal test del Salvagente si fermava al 69%. L’azienda non si scompose replicando al settimanale dei consumatori che le lettere-campione erano talmente poche da non rendere il test rappresentativo. In quell’occasione inoltre l’azienda ribadiva il pieno rispetto degli standard di qualità. A leggere l’inchiesta di Massari oggi viene quanto meno da sorridere.
Konsumer: gli utenti vanno rimborsati
Sulla vicenda è intanto intervenuta timidamente l’Agcom che ha fatto sapere che “la direzione Servizi Postali diretta da Claudio Lorenzi sta studiando il caso segnalato”.
Più dure le associazioni dei consumatori. Fabrizio Premuti è il presidente di Konsumer: “Se fosse vero, come scrive il Fatto, che Poste Italiane monitorava con costanza le cassette della posta sarebbe davvero inquietante. Qui si parla di lettere aperte, accantonate e distrutte, di intensi scambi di mail tra funzionari di Poste che lasciano pensare all’istituzione di una procedura interna dove la parola chiave era ‘noti invii’”. Konsumer ipotizza pure indennizzi a favore degli utenti e le dimissioni dei dirigenti. “Se risultasse tutto vero – conclude Premuti – Poste dovrebbe restituire i soldi del servizio universale per tutte le mancate consegne e i ritardi avvenuti dal 2006 ad oggi, e i contributi pubblici avvenuti per assicurare il servizio. Invece che dismettere gli uffici postali, dovrebbero dismettere la dirigenza di Poste Italiane: dimissioni subito”.