
Bayer ha accantonato 17 miliardi di dollari e ne ha già pagati almeno 10 per chiudere le cause legali sul glifosato. E ora minaccia il ritiro dell’erbicida dal mercato statunitense
Il glifosato torna sotto i riflettori negli Stati Uniti, e non solo, stretto tra un contenzioso giudiziario senza precedenti e nuove polemiche scientifiche. AgWeb – Farm Journal – una testata giornalistica statunitense specializzata in agricoltura, rivolta soprattutto a agricoltori, operatori del settore agroalimentare e agribusiness – rivela che la Corte Suprema americana starebbe valutando di esaminare nel 2026 un caso chiave che potrebbe ridefinire il rapporto tra diritto federale e cause intentate a livello statale contro Bayer, oggi unico produttore di glifosato sul suolo statunitense.
Secondo i dati citati dalla testata agricola statunitense, Bayer ha già versato oltre 10 miliardi di dollari per chiudere cause legali che attribuiscono al diserbante Roundup un ruolo nell’insorgenza di tumori. I procedimenti complessivi avviati sono stati circa 180.000, con 60.000 casi ancora aperti, e il gruppo tedesco ha accantonato più di 17 miliardi di dollari per far fronte al contenzioso.
Il nodo legale: avvertenze e prevalenza della legge federale
Il punto centrale ora è giuridico. Come spiega AgWeb, esiste una frattura tra le corti federali statunitensi sul tema del failure to warn, ovvero l’obbligo di avvertire adeguatamente sui rischi. Bayer sostiene che la normativa federale sui pesticidi – il FIFRA (Federal Insecticide, Fungicide and Rodenticide Act) – dovrebbe prevalere sulle leggi statali, impedendo nuove azioni legali basate sull’insufficienza delle etichette.
Il 1° dicembre 2025 il Solicitor General degli Stati Uniti ha depositato un parere a favore della richiesta di Bayer di riesaminare il caso Durnell. Un passaggio che l’amministratore delegato Bill Anderson ha definito “cruciale” per garantire certezza normativa agli agricoltori e al mercato.
La posta in gioco è alta: la stessa Bayer, riferisce AgWeb – Farm Journal, non esclude un ritiro dal mercato statunitense del glifosato qualora non riuscisse a contenere il contenzioso entro il prossimo anno.
Lo studio “Williams” e la ritrattazione
Ad alimentare il dibattito è arrivata anche la clamorosa smentita di dicembre allo studio “principe” sul glifosato, quando la rivista Regulatory Toxicology and Pharmacology ha ritirato lo studio Williams pubblicato nel 2000 , spesso citato nel dibattito sulla sicurezza del glifosato.
Lo studio non conteneva dati sperimentali originali ma era una revisione della letteratura disponibile all’epoca. Monsanto – oggi controllata indirettamente da Bayer – ha ammesso ad AgWeb il proprio coinvolgimento spiegando che non equivaleva ad una paternità scientifica e che precedenti verifiche, comprese quelle dell’Efsa, avevano giudicato appropriato l’articolo.
Europa e Stati Uniti fanno finta di nulla
Se questa notizia ha mostrato al mondo l’ipocrisia e l’influenza delle lobby sulle decisioni delle istituzioni europee e statunitensi, tanto a Bruxelles che a Washington le reazioni iniziali sono quelle della più classica rimozione. L’Environmental protection agency (EPA, l’Agenzia di protezione ambientale) ha dichiarato che la ritrattazione non modifica la propria valutazione sul glifosato, basata sull’analisi di oltre 6.000 studi. L’Unione europea, invece, ha preferito non commentare, come se nulla fosse accaduto. Almeno fino a oggi.
Resta però il dato politico e giudiziario: mentre le autorità regolatorie continuano a ribadire la sicurezza dell’uso autorizzato del glifosato, il futuro commerciale dell’erbicida più usato al mondo sembra davvero agli atti finali.









