
Un’analisi dei test del magazine britannico Which? rivela grandi differenze negli omega-3 del pesce in scatola. Sgombri e sardine più ricchi del salmone, ma lavorazione, ricette e sale cambiano tutto.
Il pesce in scatola vive una stagione di grande popolarità: costa poco, si conserva a lungo, si prepara in un attimo ed è una valida fonte di proteine di qualità. Ma c’è un altro motivo per cui molti consumatori lo scelgono: la promessa degli acidi grassi omega-3, preziosi per la salute del cuore e del cervello.
La domanda, però, è tutt’altro che banale: quali scatolette ne contengono davvero di più? E le differenze tra un prodotto e l’altro sono così marcate da influire sulla nostra scelta?
Un ampio lavoro comparativo condotto dal magazine dei consumatori britannici Which?, che ha analizzato oltre 90 prodotti di pesce in scatola, ha cercato di offrire ai consumatori una risposta. La rivista inglese ha valutato il contenuto di omega-3, sale, zuccheri, proteine e i prezzi delle diverse varianti presenti nei supermercati del Regno Unito, offrendo un quadro estremamente utile anche per il consumatore italiano.
Perché gli omega-3 sono così importanti
EPA e DHA, gli omega-3 presenti principalmente nel pesce azzurro, sono acidi grassi essenziali: l’organismo non può produrli e per questo devono essere introdotti con l’alimentazione. Contribuiscono alla salute cardiovascolare, alla funzione cerebrale, alla regolazione di ormoni e sistema immunitario.
Le linee guida britanniche consigliano almeno una porzione settimanale di pesce azzurro all’interno delle due porzioni totali di pesce suggerite. Eppure, secondo gli studi citati da Which?, gran parte della popolazione UK assume meno di 50 mg di omega-3 al giorno, ben al di sotto dei livelli raccomandati.
I re degli omega-3: sgombri, sardine e salmone
Dall’analisi del magazine britannico emerge con chiarezza un dato: sgombro, sardine e salmone sono i pesci in scatola più ricchi di omega-3. Ma questo non significa che tutti i prodotti siano equivalenti.
Secondo i dati raccolti da Which?:
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tra gli sgombri, alcuni prodotti raggiungono livelli di omega-3 altissimi, mentre altri ne contengono oltre cinque volte meno;
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anche nelle sardine la variabilità tra prodotti è elevata, con le versioni al naturale generalmente più lineari nei valori;
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il salmone mostra livelli buoni, ma inferiori ai due pesci precedenti, e con differenze notevoli tra le varie referenze.
L’elemento chiave, per il consumatore, non è la specie in sé ma la combinazione di:
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tipo di lavorazione (al naturale, affumicato, in salsa),
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presenza o meno di pelle e lische (che hanno il maggior contenuto di omega 3)
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ricetta utilizzata.
Le versioni al naturale, cioè non immerse in olio o salse, sono spesso quelle con i livelli più ricchi di omega-3, per la semplice ragione che subiscono meno lavorazione e trattamenti termici.
Sale e zuccheri: cosa ha trovato Which?
Se sugli omega-3 lo scenario è complessivamente positivo, i dati su sale e zuccheri mostrano invece rischi non sempre evidenti.
Sale
Secondo i test della rivista inglese, alcuni prodotti superano i 2 grammi di sale per 100 g, valori molto alti considerando che il limite massimo giornaliero raccomandato è di 6 g.
Solo 5 prodotti su oltre 90 analizzati rientravano nella soglia “verde” dell’etichettatura nutrizionale britannica (meno di 0,3 g di sale per 100 g).
Zuccheri
Anche qui emergono differenze importanti:
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alcune ricette in salsa possono toccare i 12 g di zuccheri per 100 g,
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mentre circa un terzo dei prodotti analizzati non ne conteneva affatto.
Il dato interessante messo in luce da Which? è che la salamoia non è necessariamente la più salata: alcune salse “aromatizzate” risultano addirittura peggiori. E le versioni “piccanti” delle salse al pomodoro contengono spesso zuccheri aggiunti, a volte più del doppio rispetto alle varianti semplici.









