Vite cancellate con un decreto: la storia di Emiliano e Simona, colpevoli di vendere Cbd

CBD

Il nuovo decreto sicurezza inizia a mettere nei guai i negozi di Cbd: Emiliano e Simona, giovani genitori e commercianti, rischiano fino a 20 anni di carcere per infiorescenze prive di effetti droganti, denuncia Meglio Legale

Emiliano ha 24 anni, una figlia di due, e un piccolo negozio di CBD a Colleferro, alle porte di Roma. Come tanti coetanei ha investito in una realtà nuova, pulita, in regola. O almeno, lo era fino a qualche giorno fa. Ora Emiliano rischia dai 6 ai 20 anni di carcere, denunciato per spaccio di stupefacenti. Non perché vendesse droga, ma infiorescenze di CBD: la molecola non psicoattiva della cannabis.

Una vita stravolta nel tempo di una serranda che si alza.

L’alba del nuovo decreto sicurezza

«Venerdì 30 maggio sono andato ad aprire il negozio come ogni giorno, e appena ho alzato la serranda ho sentito dei passi alle mie spalle. Erano cinque agenti della Guardia di Finanza», racconta Emiliano in un messaggio inviato a chi sta cercando di aiutarlo.

Quel giorno, nel piccolo esercizio commerciale di Colleferro, entra in scena il nuovo decreto sicurezza, che ha inserito il CBD – pur privo di effetti stupefacenti – tra le sostanze soggette alla disciplina degli stupefacenti. Un colpo al cuore per un intero settore legale, che in Italia conta 22mila lavoratori.

Emiliano si ritrova accusato ai sensi dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti, lo stesso riservato ai narcotrafficanti: spaccio di sostanze stupefacenti. Una norma che prevede fino a 20 anni di carcere.

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Simona, una madre trattenuta sotto sequestro

Nello stesso giorno, a decine di chilometri di distanza, un’altra giovane madre viene travolta dallo stesso decreto. Simona Giorgi gestisce uno dei punti vendita della piccola catena Spumoni Grow ad Acilia. Anche il suo negozio viene perquisito, anche lì le infiorescenze di CBD vengono sequestrate. E anche lei si ritrova denunciata per spaccio.

Ma l’episodio ha un contorno ancora più amaro: durante il controllo, che si prolunga per ore, Simona cerca di spiegare agli agenti che deve andare a prendere la figlia a scuola. Niente da fare. È in stato di fermo amministrativo, non può lasciare il negozio.

«Ho dovuto telefonare alle maestre della mia bimba spiegando che ero stata fermata. Mi sono vergognata così tanto… e non è giusto», racconta lei stessa, ancora scossa.

L’appello: non lasciamoli soli

A sostegno di Emiliano e Simona si è subito schierata l’associazione Meglio Legale, da tempo in prima linea per una riforma razionale delle leggi sulla cannabis. “Questo è il caso pilota – dicono – da cui intendiamo partire per smontare pezzo per pezzo il nuovo decreto sicurezza.”

È stata avviata una raccolta fondi per sostenere le spese legali: mille euro è l’obiettivo iniziale. L’avvocata Paola Bevere, che difende i due giovani, ha già presentato istanza di riesame al Tribunale di Roma. Nella memoria depositata, si solleva la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 18 del decreto sicurezza e si sottolinea come la sostanza sequestrata fosse priva di effetti droganti.

Un intero settore nel mirino

Non si tratta solo di due casi isolati. Ma di un intero comparto produttivo e commerciale finito, da un giorno all’altro, nel mirino dello Stato. Un settore che fino a ieri operava alla luce del sole, che ha creato occupazione, ha riqualificato territori e offerto una nuova narrazione sulla cannabis. E che oggi rischia di essere azzerato, senza alcuna transizione, senza confronto, senza rispetto.

Sotto accusa non ci sono criminali, ma padri e madri di famiglia. Giovani imprenditori che hanno scelto la legalità, e che oggi vengono trattati come delinquenti.

Il Salvagente continuerà a seguire da vicino questa vicenda, che chiama in causa i diritti fondamentali di chi lavora, l’equità della giustizia e il buon senso delle leggi.