Antibiotici negli allevamenti: aumentano le vendite (e l’Italia non si risparmia)

È quanto testimoniano i dati del rapporto di sorveglianza dell’Ema. Dopo un periodo di diminuzione tornano a salire le vendite e i timori di antibiotico-resistenza. E in Italia, dove sono circa 10mila i morti ogni anno per queste cause, nonostante le dichiarazioni tranquillizzanti delle industrie l’uso rimane troppo alto

Dopo anni di progressiva riduzione, nel 2023 le vendite di antibiotici destinati agli animali da allevamento in Europa sono purtroppo tornati a salire. È quanto emerge dal primo Rapporto annuale sulla sorveglianza delle vendite e dell’uso di antimicrobici in medicina veterinaria (ESUAvet), pubblicato dall’Agenzia Europea per i Medicinali (Ema).

Riconoscendo che la resistenza di sempre più batteri ai farmaci utilizzati come salvavita è un problema di vita e di morte anche in Europa (ogni anno nel vecchio continente muoiono 33mila persone a causa dell’inefficiacia degli antimicrobici contro le infezioni batteriche e oltre 10mila, più di un terzo, sono italiani), la Ue si era posta l’obiettivo di dimezzare entro il 2030 l’utilizzo di antibiotici negli animali allevati per la produzione alimentare rispetto ai livelli del 2018. Dai 118,3 mg/PCU si dovrebbe insomma scendere sotto i 60 mg/PCU (milligrammi per unità di correzione della popolazione, un’unità di misura che considera le differenze nelle dimensioni e nel numero degli animali allevati).  Nel 2023, invece, le vendite complessive dell’UE sono state pari a 88,5 mg/PCU, segnando  registrando un aumento del 4,3% rispetto al 2022.

La situazione italiana resta “calda”

Anche l’Italia segue questo trend altalenante. Dopo una significativa riduzione del 35% tra il 2018 e il 2022, le vendite di antimicrobici destinati agli animali nel nostro paese sono risalite a 180,3 mg/PCU nel 2023. La crescita rispetto all’anno precedente (157,5 mg/PCU nel 2022) è dovuta, almeno in parte, al cambiamento del sistema di raccolta dati, ora basato sulle informazioni fornite dai mangimifici anziché dai produttori farmaceutici. Nonostante questo le vendite nel nostro Paese sono tra le più alte in Europa, nonostante l’industria abbia sempre assicurato il contrario.

È quanto emerge chiaramente dalla tabella pubblicata da ESUAvet dove emerge (tanto nel 2018 che nel 2023) il picco di vendite di antibiotici agli allevamenti e all’itticoltura del nostro paese. Per arrivare alla media che la Ue si è data come obiettivo, il nostro paese dovrebbe ridurre di due terzi l’uso di antimicrobici.

ANTIBIOTICI ALLEVAMENTI
Vendite e uso europei di antimicrobici per la medicina veterinaria tra il 2018 e il 2023. Fonte: European Sales and Use of Antimicrobials for Veterinary Medicine (ESUAvet) annual surveillance reports

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Questi dati smentiscono i “successi” italiani nella lotta all’antibiotico-resistenza sbandierati lo scorso dicembre all’evento conclusivo del G7 a Bari dove il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato commentava: “Il 50% del consumo di antibiotici in Italia è nella filiera zootecnica e dobbiamo essere fieri che tale utilizzo, contrariamente al settore umano, sia in sensibile riduzione, e questo grazie a un rigoroso sistema di tracciatura dei medicinali”.

I dati europei

Per la prima volta, tutti i 27 paesi dell’Unione Europea, insieme a Islanda e Norvegia, hanno segnalato dati completi relativi al 2023, sia sulle vendite che sull’uso di antimicrobici negli animali. Dai dati emerge che il 98% degli antibiotici venduti è destinato agli animali allevati per produrre alimenti (come bovini, suini, pollame e tacchini). La classe antibiotica più venduta è risultata essere quella delle penicilline, seguita da tetracicline e sulfonamidi.

Circa il 65% delle vendite totali riguarda antibiotici considerati di prima linea (categoria D), il 29% appartiene alla categoria C (da utilizzare solo quando la categoria D non è efficace) e il 6% rientra nella categoria B, che comprende sostanze fondamentali per la salute umana e da utilizzare con estrema cautela in veterinaria.