
Trovare nel miele pesticidi universalmente riconosciuti come “killer delle api” è una scoperta che fa male a tutti. A chi ha a cuore l’ambiente, in primo luogo agli stessi apicoltori. È la loro voce, visto che non riusciamo a sentire quella delle api, che si deve levare forte contro la chimica nei campi
“Cornuti e mazziati”. Qualcuno potrebbe sintetizzare così i risultati del nostro test di copertina. Aggiungendo che punire con un risultato negativo i mieli contaminati da pesticidi che, tra l’altro, sono tossici per le api, è una doppia penalizzazione per gli apicoltori. Su questa, apparente, illogicità ci siamo interrogati a lungo in redazione durante la lavorazione dell’analisi comparativa che trovate nel giornale di questo mese. Soprattutto dopo aver scoperto la presenza – inaspettata nelle dimensioni della contaminazione – dei neonicotinoidi, i fitofarmaci universalmente riconosciuti come “killer delle api”.
Una frequenza che rende evidente, come potrete leggere nel lungo e documentato servizio di Enrico Cinotti, come queste molecole che in molti vorrebbero vietate nei campi (e che qualche paese, come la Francia, ha già bandito) invece nei nostri terreni agricoli vengono utilizzate, eccome.
La responsabilità, come è evidente, non è degli apicoltori, né tantomeno dei produttori di miele. Non sono loro a spargere l’acetamiprid, il pesticida tossico per gli impollinatori. Né sono loro a farlo proprio nei momenti in cui gli insetti bottinano le piante, ossia quando queste sono in fioritura.
Ma è il prodotto che commercializzano a riportare le testimonianze di quanto i neonicotinoidi siano utilizzati, perfino con il timbro del ministero delle Politiche agricole. È il dicastero ora guidato da Lollobrigida, infatti, ad aver deciso di assegnare il bollino “Sqnpi – Qualità sostenibile”, destinato a chi fa agricoltura a lotta integrata, anche a chi fa uso di acetamiprid. E, colmo dell’ironia, ha scelto come logo della certificazione un’apetta disegnata (a futura memoria di questi insetti?). Va detto, per amore della cronaca, che una tale geniale trovata si deve al governo Renzi e al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, che la concepirono nel 2014 e la realizzarono nel 2016.
Torniamo ai nostri vasetti di “miele amaro” così come abbiamo voluto chiamarli fin dalla copertina di questo numero. Qual è la responsabilità dei produttori, potrebbero obiettare i nostri lettori?
A questo punto del ragionamento ci sembra chiara la “colpa”: non agire con maggiore energia per difendere il loro patrimonio, le api che – detto per inciso – sono anche un patrimonio essenziale dell’ambiente, dato il loro prezioso lavoro di impollinazione.
È la loro voce, dato che quella delle api non riusciamo ad ascoltarla, che si dovrebbe levare contro pratiche agricole così poco sostenibili. E forse non sarebbe dovuto servire il test del Salvagente per una fotografia tanto allarmante.
Tanto più che, oltre alla moria dei preziosi insetti, i loro vasetti riportano tracce di sostanze che, seppure sotto i limiti di legge, sono pur sempre dannose anche per i consumatori di miele.
Un esempio su tutti è lo spirotetramat, nocivo per la riproduzione e per il feto, il cui uso è consentito solo fino al prossimo ottobre per la solita elasticità europea. Se l’apicoltura non vuole scomparire, stretta da una parte dai cambiamenti climatici e dall’altra dall’uso della chimica in campo, insomma, è ora che batta un colpo.
E magari segua la strada illuminata di alcune delle aziende che abbiamo incrociato in questo lavoro e che non a caso escono con risultati più che lusinghieri dalle nostre analisi. E che – anche quando le loro arnie sono fuori dai nostri confini in aree generalmente considerate come meno regolamentate – riescono a garantire un miele incontaminato e dunque anche il benessere delle api che lo producono.