Fiorella Belpoggi, emerita direttrice scientifica dell’Istituto Ramazzini, ci illustra i risultati dello studio sugli effetti dell’erbicida sulle cavie da laboratorio: “Le evidenze scientifiche le abbiamo, ora Bruxelles torni sui suoi passi”. Lo speciale nel numero in edicola con il test su 14 farine: 11 contengono glifosato
“Entro fine anno pubblicheremo i risultati sugli effetti neurotossici del glifosato. A quel punto il nostro studio sarà completo. L’auspicio è che la Ue possa rivedere la propria decisione e quindi che, sulla base dei nostri dati, si possa limitare la nuova autorizzazione all’utilizzo dell’erbicida scattata a dicembre scorso”.
Fiorella Belpoggi, emerita direttrice scientifica dell’Istituto Ramazzini di Bologna e componente del comitato scientifico di Isde-Medici per l’ambiente, non nasconde “soddisfazione per i risultati raggiunti nella ricerca, ma delusione sociale perché la Commissione europea non ha preso in considerazione i nostri risultati ed è andata dritta per la propria strada”.
L’abbiamo intervistata nel nuovo numero del Salvagente in edicola e in digitale dove abbiamo pubblicato i risultati su 14 campioni di farina: 11 contengono glifosato.
Vuoi leggere tutti i nomi e i risultati del test del Salvagente? Clicca sul pulsante verde qui in basso e acquista la tua copia del giornale
Dottoressa Belpoggi, il Global glyphosate study, il più grande progetto di ricerca al mondo sugli effetti dell’erbicida sulla salute umana, di cui il Ramazzini è uno dei partner principali, ha dimostrato l’incidenza di questa sostanza sul microbioma, sulla riproduttività, sull’interferenza endocrina, sull’insorgenza di neoplasie e infine sugli effetti neurotossici: cosa serve ancora per dimostrare la pericolosità di questo pesticida?
Dal nostro punto di vista nulla. La fase pilota è partita nel 2016 e lo studio a lungo termine nel 2019. Abbiamo impiegato ratti umano equivalenti e dimostrato la tossicità del composto anche a dosi considerate sicure per l’uomo. Possiamo rimproverarci che siamo arrivati con un po’ di ritardo nel pubblicare i dati sull’insorgenza delle leucemie ma gli studi a lungo termine hanno bisogno di anni di osservazione.
I dati erano pronti a novembre 2023, la Ue a metà dicembre ha concesso altri 10 anni per l’uso del glifosato. Perché secondo lei?
Nello specifico del nostro studio i decisori europei hanno risposto dicendo che le leucemie da noi osservate erano casuali. In generale poi i pareri in base ai quali la Ue ha concesso la nuova autorizzazione stabiliscono che il glifosato non è nocivo per l’uomo.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
L’evidenza dei vostri risultati dice altro. Sembra che Bruxelles si sia arroccata a difesa di questa sostanza, ricordiamo “probabile cancerogena” per la Iarc dell’Oms. È un’impressione condivisibile?
Innanzitutto la decisione presa secondo me rappresenta una prova di forza da parte delle agenzie regolatorie europee: sono loro del resto che determinano le sorti di mercato di una sostanza. In seconda battuta perché le aziende premono affinché un erbicida altamente economico ed efficace continui a essere prodotto e impiegato nei campi.
Lamentava che siete arrivati un po’ “lunghi” nel pubblicare i risultati sui linfomi e leucemie: quanto ha inciso il fattore tempo?
Il Global glyphosate study è interamente finanziato da contributi volontari e supportato da gruppi di interesse no profit: purtroppo non abbiamo potuto contare su nessuna risorsa pubblica. La ricerca indipendente non è finanziata a livello nazionale e molto ostacolata a livello europeo.
Ci faccia qualche esempio.
La Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms, per definire cancerogeno certo un composto richiede uno studio sugli animali che dimostri anche i meccanismi che originano le patologie. La Ue invece da alcuni anni ha stabilito che vengono “premiati” gli studi che non impiegano cavie da laboratorio. Senza uno studio sperimentale su animali che rappresentano un modello controllabile non si è mai arrivati a mettere al bando una sostanza.
A tal proposito rispetto ai composti che il Ramazzini con i suoi studi negli anni ha contribuito a vietare – dal benzene, alla formaldeide fino all’aspartame solo per fare alcuni esempi – il glifosato è una questione più difficile?
Purtroppo no, nel senso che abbiamo avuto sempre difficoltà, soprattutto con le agenzie regolatorie. Faccio un esempio: i primi risultati sulla cancerogenicità del benzene sono del 1979 e il divieto totale è scattato solo nel 2016 quando è stato riconosciuto multipotente. Stessi tempi lunghi per la formaldeide: dimostrammo la tossicità nel 1989 e la messa al bando definitiva arrivò nel 2020. Sul glifosato possiamo dire che ci sono interessi più radicati però per la ricerca è sempre più complicato farsi ascoltare dalle autorità pubbliche.
A tal proposito l’Europa ha fatto marcia indietro sul taglio dei pesticidi. Nel frattempo la contaminazione ambientale sta creando condizioni di vita a rischio come dimostrano anche i primi dati dello studio Sprint al quale il Ramazzini partecipa.
Lo studio è ancora in corso, partecipano 28 laboratori europei ed è finanziato dal programma di ricerca Horizon 2020 della Ue. Sono coinvolti 15 paesi europei e l’Argentina. Il team Sprint ha analizzato 189 composti diversi in più di 600 campioni ambientali provenienti da aziende agricole biologiche e convenzionali. Le matrici campionate comprendevano suolo, acqua, sedimenti, colture, aria e polvere delle case degli agricoltori. I primi dati rivelano che l’86% dei campioni esaminati contiene residui di pesticidi e il 76% miscele di pesticidi. I risultati relativi alla polvere in ambienti domestici sono particolarmente sorprendenti. L’analisi completa, che ha valutato la presenza di 198 residui di pesticidi, ha evidenziato che, indipendentemente dalle pratiche agricole della famiglia, in tutti i 128 campioni di polvere erano presenti miscele di residui di pesticidi.
Siamo tutti esposti, insomma. Come si inverte questa tendenza?
I decisori politici devono prestare più attenzione a queste problematiche. Devo constatare però che nell’Unione europea la sensibilità sulla contaminazione da composti tossici è andata via via scemando. Lo abbiamo visto con la decisione di riautorizzare per altri 10 anni l’utilizzo del glifosato. Mi auguro invece che quando il nostro studio sarà completo possa essere valutato con obiettività dalla Ue e che possa contribuire a rivedere la licenza di 10 anni concessi al glifosato.