Lo studio sulle mascherine: cosa abbiamo respirato in pandemia

MASCHERINE

Una ricerca spagnola ha quantificato le soistanze inalate con l’uso delle mascherine. I risultati assolvono in parte i dispositivi ma l’équipe di ricerca chiede che venga usata meno plastica e meno ftalati

Che cosa abbiamo respirato ogni giorno indossando le mascherine durante il periodo del Covid? La domanda se la sono fatta in molti durante e dopo la pandemia, con risposte diverse. Anche noi del Salvagente ce n’eravamo occupati con una lunga inchiesta. Oggi a chiarire un po’ le idee arriva una ricerca, appena pubblicata su Environment International da un gruppo di scienziati del Dipartimento di Chimica ambientale e dell’acqua per la salute umana (ONHEALTH) dell’Istituto di valutazione ambientale e ricerca sull’acqua (IDAEA) spagnolo.

La pandemia di COVID-19 ha causato un aumento senza precedenti dell’uso di plastica monouso, principalmente sotto forma di dispositivi di protezione individuale (DPI), come le mascherine, necessarie per proteggersi e per proteggeri gli altri dall’epidemia. Tra gennaio 2020 e marzo 2021, sono state utilizzate globalmente circa 449,50 miliardi di mascherine, prevalentemente composte da materiali sintetici come polipropilene, polistirene e polietilene tereftalato, realizzate utilizzando anche additivi plastici quali ftalati e esteri fosforici organici (OPE).

Il rilascio di micro e nanoplastiche

Questi dispositivi di protezione possono rilasciare un numero significativo di microplastiche (MP) e nanoplastiche (NP) nell’ambiente terrestre e acquatico, attraverso processi fisico-chimici e biochimici. Durante l’uso, possono rilasciare migliaia di particelle MP, con le mascherine chirurgiche che rilasciano circa 3.152 fibre per mascherina.

Queste particelle rappresentano una minaccia significativa per l’ecosistema e la salute pubblica a causa delle loro proprietà cancerogene, mutagene e neurotossiche. Inoltre, i composti chimici presenti nelle mascherine, come gli ftalati e gli OPE, mostrano effetti tossici comprovati, inclusi disturbi endocrini e potenziali effetti cancerogeni.

La valutazione dell’esposizione tramite inalazione fatta dai ricercatori spagnoli ha però quasi del tutto assolto le mascherine, rivelando che l’esposizione ai plastificanti rientra nei livelli accettabili. Il quasi del tutto si spiega con l’ammonimento degli stessi autori che invitano a considerare anche altri percorsi di esposizione come il contatto dermico per avere un quadro completo del rischio per la salute umana.

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Lo studio spagnolo

Gli scienziati hanno raccolto 36 campioni di mascherine rappresentative dei quattro tipi più comuni: chirurgiche, auto-filtranti (KN-95 e FFP2) e riutilizzabili. Le mascherine provenivano da diverse marche e località, principalmente Spagna e Cina.

Per simulare l’inalazione sono stati utilizzati quattro manichini di cartapesta che hanno indossato le mascherine per 10 ore a una portata d’aria di 10 L/min. Alla fine dell’esperimento sono stati registrate le sostanze che presumibilmente un utente avrebbe inalato.

Additivi plastici 

Gli ftalati sono risultati il gruppo di additivi plastici più abbondante, seguiti dagli esteri fosforici organici (OPE) e dai plastificanti alternativi. Le concentrazioni variavano tra i diversi tipi di mascherine, con le mascherine FFP2 che mostravano le concentrazioni più elevate di additivi plastici totali.

Rilascio di additivi durante l’inalazione

Durante l’uso delle mascherine, 12 dei 26 composti trovati sono stati rilasciati. Le mascherine chirurgiche e FFP2 hanno mostrato percentuali di rilascio più elevate. Le condizioni ad alta temperatura hanno favorito il rilascio di additivi plastici, aumentando il tasso di rilascio fino a sette volte rispetto alle condizioni normali.

Valutazione dell’esposizione L’esposizione giornaliera stimata tramite inalazione (EDI_inhalation) variava da 0.01 a 9.04 ng/kg bw/giorno, con gli ftalati che contribuivano maggiormente a questa esposizione. Le mascherine chirurgiche e FFP2 mostravano livelli di esposizione più elevati rispetto alle altre.

Ridurre la plastica nei dispositivi

Le mascherine monouso possono rappresentare una fonte significativa di esposizione a plastificanti come ftalati e OPE, specialmente per gruppi vulnerabili come bambini e donne incinte. È cruciale la necessità di sviluppare migliori strategie di gestione dei rifiuti  e di ridurre l’uso di plastica monouso per proteggere l’ambiente e la salute pubblica, hanno concluso i ricercatori spagnoli.