Cioccolato, chi sta guadagnando dalla folle corsa del prezzo?

Dark chocolate pieces crushed and cocoa beans, culinary background, top view

Continua la folle corsa del prezzo del cacao in Borsa che ieri ha superato i 10mila dollari a tonnellata. Ma chi ci guadagna e, soprattutto, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi, un aumento dei prezzi o un calo della qualità? Lo abbiamo chiesto alla giornalista Sabrina Giannini di “Indovina chi viene a cena”

Mai come in questa Pasqua, il cioccolato è stato al centro della cronaca per la speculazione fuori controllo che sta avvenendo sul prezzo del cacao da diversi mesi. A inizio marzo abbiamo raccontato i motivi alla base di questa folle corsa che aveva portato la quotazione sui mercati finanziari a superare il record storico registrato nel 1977 di 5.379 dollari a tonnellataOggi siamo a oltre 10mila dollari, con un aumento vertiginoso dei rendimenti che supera quello delle criptovalute.

Cosa si può fare per fermare questa situazione?

Lo abbiamo chiesto alla giornalista Sabrina Giannini che, nella sua trasmissione “Indovina chi viene a cena”, andata in onda il 10 marzo su Rai 3, ha mostrato un servizio realizzato da Nuria Biuzzi che spiega tutti i meccanismi alla base della produzione del cacao. Biuzzi è andata direttamente in Costa d’Avorio, che è il principale paese produttore di cacao in tutto il mondo, ed ha fotografato una situazione piuttosto critica. La produzione in questo Paese è praticamente in mano a multinazionali come Cargill che compra il cacao dai contadini ivoriani pagandoli 150 euro per 6 mesi di lavoro (praticamente un euro al giorno) e lo distribuisce in tutto il mondo. Questo, oltre a sfruttare i produttori locali, produce anche una devastazione ambientale impressionante visto che nelle piantagioni vengono usati insetticidi pericolosi, prodotti da Bayer, che in Europa sono vietati dal 2019. E per proteggere le coltivazioni si uccidono elefanti, scimmie e altri animali. Un altro paradosso è che i bambini nati nel Paese, che è il principale produttore di cacao, non hanno mai assaggiato il cioccolato. Ed è per questo che sono nati progetti come Chocofair di Andrea Mecozzi che ha come obiettivo quello di mostrare direttamente ai coltivatori di cacao come si ottiene il cioccolato dalle fave, per permettergli di essere autonomi nelle loro scelte e anche di produrlo da sé, senza chimica e secondo procedimenti biologici che seguono i passaggi giusti e non hanno un impatto sull’ambiente.

Ma come si fa a scegliere la tavoletta di cioccolato giusta, che arriva da una filiera più trasparente e tracciata?

“Intanto bisogna dire che una buona tavoletta di cioccolato deve contenere al massimo due-tre ingredienti, a partire dal burro di cacao che è naturalmente contenuto nelle fave di cacao, e non bisogna comprare quei prodotti che hanno il famoso 5% di altri grassi, permesso dall’Europa proprio per agevolare le aziende – ci spiega Biuzzi – Abbiamo visitato diversi produttori virtuosi come Icam, che per scelta non compra il cacao dalla Costa d’Avorio, ma solo da Paesi dell’America del Sud, come Perù ed Equador. A produrre cioccolato di buona qualità sono anche l’azienda bolognese Maiani, la torinese Domori e il gruppo Abele di Don Ciotti che comprano il cacao prodotto dalla cooperativa ChocoPlus e, nel caso di Abele, finanziano progetti di ragazzi in difficoltà. Poi c’è la cioccolateria Svizzera che vende cacao biologico, prodotto in Costa d’Avorio secondo metodi tradizionali, sul sito cacaomotum.it. Infine, visto che siamo a ridosso di Pasqua, un buon uovo da comprare sarebbe l’uovo tracciato di di Loretta Fanella Pastry lab

“E’ assurdo che bisogna sottostare al prezzo fissato dalla borsa di Londra e New York, dove a decidere sono persone della finanzia che non vivono nel continente che produce il 75% del cacao sul commercio – aggiunge Giannini – Io penso che si debba davvero boicottare le multinazionali del cacao, l’unico modo per incidere è non comprare questi prodotti, scegliendo quelli biologici che oltretutto tutelano le persone che ci lavorano. Purtroppo neanche la filiera equo e solidale include il biologico, che non viene favorito né dal mercato, né dall’Europa che sul biologico impone più controlli rispetto al cioccolato convenzionale. Non possiamo credere alle certificazioni perché ce ne sono tante ormai a uso e consumo di chi produce e siamo in una selva di certificazioni dove non si capisce quale sia davvero la filiera. Bisogna riuscire a fare massa critica e boicottare le sette sorelle che hanno in mano quasi tutto il mercato del cacao: Cargill, Barry Callebaut e Olam, che comprano e lavorano il 90% delle fave di cacao mondiale e Ferrero, Mars, Mondelez e Nestlé che trasformano questo cacao in prodotti e snack a base di cioccolato. Ad esempio Cargill nel 2022 ha devoluto 163 milioni di dollari in contributi alle comunità locali per sostenerli in progetti sostenibili, ma questa cifra corrisponde appena allo 0,092% del loro fatturato. Mi sembra più un’azione di greenwashing con cui pulirsi la coscienza”.

Che differenza c’è tra il cacao che arriva dall’Africa e quello che arriva dall’America del Sud?

“Tutti i migliori cioccolatai sostengono che è migliore il cacao che arriva dal Sud America perché la Costa d’Avorio ha deciso di destinare tutte le piantagioni ad una monocultura che non permette quella diversità di sapori e di aromi tipica del cacao che ha più di 1200 varietà. Il Governo ivoriano incoraggia una coltura intensiva e di massa perché ha capito che è l’unico modo per produrre i grandi quantitativi richiesti dalle multinazionali. Ma questo rappresenta una scelta punitiva versa la qualità del cacao, che diventa un po’ come il Tavernello dei vini, ed è un vero e proprio autogol che va a penalizzare in primis il paese. Il Sud America non segue questa logica e, oltre a produrre un quantitativo di cacao molto inferiore, conserva le diverse varietà che lo rendono un prodotto di più di nicchia”.

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Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi sul mercato?

Secondo l’autrice di Indovina chi viene a cena “i produttori sanno benissimo che aumentare troppo i prezzi fa danno alla loro clientela che è molto attenta a quanto spende. Io credo che faranno la solita furbata diminuendo il quantitativo del prodotto e mantenendo lo stesso prezzo oppure aumenteranno i prodotti più scarsi, che contengono magari una maggiore quantità di latte in polvere. Questo permetterà alle aziende di spendere meno sugli altri ingredienti. C’è da dire che molti degli snack più venduti hanno una ricetta fissa, che purtroppo è vincente, ma che non verrà cambiata. In questi casi si ricorrerà ad altre strategie di marketing, come l’aumento della pubblicità o con l’aggiunta di piccoli omaggi. Purtroppo su questi prodotti il cacao puro incide pochissimo quindi, paradossalmente, questo fenomeno va a penalizzare proprio i prodotti che contengono il vero cacao”.

“Io mi aspetto entrambi gli scenari – conclude Biuzzi – Gli effetti sui prezzi potremmo averli dopo l’estate poiché le quotazioni di oggi si riflettono sul mercato tra qualche mese, mentre credo che ci sarà presto una riduzione di percentuale di cacao nei prodotti. Già oggi molte aziende stanno iniziando a bloccare la torrefazione delle fave di cacao e c’è un grande allarme soprattutto per le piccole realtà che rischiano di chiudere”.