Il Tribunale di Roma stoppa la prima causa contro lo Stato per “inadempienza climatica”

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Con la campagna “Giudizio universale”, l’Ong A Sud insieme ad altre decine di associazioni aveva lanciato un’iniziativa senza precedenti: una causa allo Stato italiano per “inadempienza climatica”. Ma il Tribunale di Roma l’ha dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione. Marica Di Pierri:”Faremo ricorso in tutti gli ambiti possibili”

Con la campagna “Giudizio universale“, l’Ong A Sud insieme ad altre decine di associazioni aveva lanciato un’iniziativa senza precedenti: una causa allo Stato italiano per “inadempienza climatica”. Ma il Tribunale di Roma l’ha dichiarata inammissibile al primo grado di giudizio per difetto di giurisdizione.

L’oggetto della causa

L’oggetto della causa era citare in giudizio lo Stato per l’insufficiente impegno nella promozione di adeguate politiche di riduzione delle emissioni clima-alteranti, cui consegue la violazione di numerosi diritti fondamentali riconosciuti dallo Stato italiano. Con questa consapevolezza, più di 200 ricorrenti, tra cui 162 adulti, 17 minori (rappresentati in giudizio dai genitori) e 24 associazioni impegnate nella giustizia ambientale e nella difesa dei diritti umani hanno avviato la campagna.

La decisione del tribunale

Marica Di Pierri, portavoce di A Sud commenta al Salvagente: “È abbastanza inattesa la pronuncia di inammissibilità. Dopo due anni e mezzo di processo, dopo una serie di udienze, dopo centinaia di pagine di argomentazioni e di documentazione depositata, la giudice ha deciso di accogliere un’eccezione pregiudiziale presentata sin dalla prima Udienza dalla controparte e di fatto ha deciso di non decidere”. In questo caso, la controparte è la presidenza del Consiglio dei ministri in quanto organo esecutivo e politico dello Stato. Il Tribunale di Roma di fatto è come se avessi detto che su questa domanda non c’è un un foro giudiziale in Italia che può pronunciarsi. “Ma questo – spiega Di Pierri – segna una grande distanza rispetto all’orientamento anche delle corti di altri paesi europei dove cause molto simili come impianto argomentativo, come richieste e anche come utilizzo di istituti di diritto civile, invece, sono state decise. In alcuni casi sono state accolte, in alcuni casi sono state non accolte le domande, ma non sono state rifiutate per inammissibilità”.

I precedenti in Olanda, Francia e Germania

Un caso particolarmente simbolico, che ha costituito il primo precedente in Europa, è stato  il caso Urgenda in Olanda, in cui attraverso anche un processo civile si è arrivati ad una condanna dello Stato che per la prima volta è stato obbligato dal Tribunale ad un target di riduzione percentuale di emissioni specifico, entro una data definita. La condanna olandese, arrivata nel 2019, dopo ben sei anni dall’inizio dell’azione legale, ha dato il via a una serie di ricorsi al giudice in altri paesi. “In Francia, c’è stata una causa amministrativa, e di fronte al tribunale amministrativo di Parigi, lo Stato è stato riconosciuto responsabile e condannato a fare di più” elenca Marica Di Pierri, “C’è stato il caso tedesco in cui la Corte Costituzionale addirittura ha invalidato la legge sul clima e perché riteneva che l’ambizione non fosse sufficiente, eppure rispetto ai target europei era in linea, il 55% del 2030 come previsto dalla legge europea sul clima”.

La differenza con il quadro normativo italiano

Il fatto che in Italia, almeno fino ad ora, sia andato diversamente è dovuto a una sensibilità politica più bassa sul tema o a una legislazione differente?  “Tutte e due le cose – ci risponde la portavoce di A Sud –  sicuramente dipende anche dai singoli giudici che prendono in mano le cause, quindi c’è un livello di discrezionalità, di interpretazione della legge. Le classificazioni si basano su un utilizzo spesso estensivo degli istituti, perché emergono nella società nuove istanze di tutela e non sempre le leggi sono al passo. Dall’altra parte è vero pure, ad esempio rispetto al caso tedesco, che in Germania c’era una legge quadro sul clima. Da un punto di vista della letteratura esistente si è notato che laddove ci sono delle normative nazionali che recepiscono e traducono in norme di rango primario obblighi internazionali, anche da un punto di vista giudiziario, gli appigli per far valere in giudizio alcuni diritti o alcuni obblighi sono maggiori”. In Italia, invece, non c’è una legge sul clima, c’è il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) che però è un piano strategico, non vincolante, ma solo di orientamento.

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Di Pierri: “Faremo ricorso”

Dopo lo stop del Tribunale di Roma, A Sud e i promotori di “Giudizio universale” non si fermano, come spiega Marica Di Pierri: “Di certo impugneremo la sentenza, lo faremo nelle sedi opportune in appello. Si potrebbe anche ricorrere direttamente agli organismi europei, però noi pensiamo prima di esaurire i rimedi interni, quindi speriamo che chiaramente la Corte d’Appello possa rivedere questa decisione. Sosterremo che questa inammissibilità che la giudice ha dichiarato è un errore”.

Le basi scientifiche dell’accusa

Del resto, la campagna e la citazione in giudizio parte da basi solide: “Secondo l’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, ndr) e anche secondo diversi studi indipendenti e gli sforzi di riduzione in campo non sono sufficienti a realizzare l’accordo di Parigi, come ad esempio l’ultimo report della Unep. Ci sono diversi studi sia degli organismi indipendenti che di agenzie delle Nazioni unite, che lanciano un’allarme rispetto all’insufficienza delle politiche climatiche. La stessa Ispra in uno dei suoi ultimi report ha sottolineato come anche la riduzione delle emissioni in Italia non sia sufficiente – spiega la portavoce di A Sud – ma di fatto le politiche energetiche vanno verso un consolidamento della dipendenza del modello energetico dalle fonti fossili, i sussidi continuano ad essere enormi per controllare i geofossili nel nostro paese, quindi di fatto ci sono degli elementi sicuramente che solidi sostengono le domande che abbiamo portato in giudizio”.

I diritti violati

I promotori della campagna si fanno forti della necessità di bloccare la violazioni di diritti umani, e non solo di un generale quanto importante equilibrio ecoambientale. Gli stessi organismi per i diritti umani delle Nazioni Unite mettono in relazione gli impatti climatici con la violazione dei diritti umani, a partire dal diritto alla vita. “Pensiamo che l’Italia è uno dei paesi che paga a livello europeo il tributo più alto di vite, a causa degli eventi climatici estremi, diritto alla salute, diritto all’acqua, diritto all’alimentazione, diritto all’alloggio, come con gli sfollamenti che spesso avvengono”, aggiunge Marica Di Pierri, ” tutti i diritti umani fondamentali sono minacciati dai cambiamenti climatici e questo non riguarda soltanto, come spesso si pensa, paesi lontani o comunque latitudini tropicali ma riguarda anche un paese come l’Italia”. Gli scenari di impatto per l’Italia disegnati dal Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici sono molto preoccupanti, secondo A Sud, secondo cui l’Italia sa benissimo che i cambiamenti climatici sono una minaccia e che il nostro paese è un territorio estremamente vulnerabile, ma non fa abbastanza, tanto meritare un ricorso al giudice.