Discount, dov’è finita la convenienza?

discount prezzi

Aumentano i prezzi più che nei supermercati, le quantità diminuiscono mentre crescono i punti vendita e la concorrenza si fa sempre più serrata. Cosa succede ai discount, i canali di vendita che promettevano listini sempre bassi

L’inflazione morde i bilanci familiari, il potere di acquisto diminuisce, i carrelli della spesa si svuotano. E così non sono pochi quanti cercano di attenuare il colpo dell’aumento dei prezzi cambiando canale di acquisto – cercando rifugio nei discount o facendo spesa in diversi punti vendita. Chi però già si rivolgeva ai canali con i listini più bassi ha solo un’alternativa: tagliare le quantità. A disegnare questa tendenza i numeri. Secondo i dati Nielsen Iq le vendite in volume nel mese di aprile 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente nei discount sono calate del 6,9% più di quanto sia successo negli iper (-2,1%) o nei supermercati (-3,4%).
Parallelamente allo scontrino che si “accorcia”, i prezzi corrono più velocemente. I rincari più marcati si registrano proprio nei discount: +20,8% nel mese di marzo 2023 rispetto a un anno prima mentre nei punti vendita della Gdo classica l’aumento è stato del 15,4%.

Il caso della pasta

Che fosse in atto una tendenza di questo tipo in un canale di vendita da sempre contraddistinto dalla convenienza, il Salvagente lo aveva già segnalato a gennaio scorso quando avevamo confrontato i listini della pasta con quelli rilevati nel dicembre 2020. Partiamo dai leader di mercato: un chilo di spaghetti Barilla due anni prima li acquistavamo nei supermercati della Capitale a 1,72 euro mentre oggi li abbiamo pagati 2,03 (+18%); De Cecco costava 2,70 euro, oggi invece 3,44 (+27%); Rummo nel 2020 stava a 2,12 mentre in queste settimane il prezzo è salito a 3,10 (+46%); La Molisana è cresciuta da 1,80 a 3,08 euro al chilo (+70%). Stabile invece il listino de La marca del consumatore (2,14 al chilo) grazie agli accordi di filiera e il prezzo bloccato come previsto dal disciplinare scelto da oltre 3mila consumatori.

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I prodotti bio restano su valori assoluti molto elevati e dalle nostre rilevazioni fanno registrare rialzi più contenuti nell’ultimo biennio: gli spaghetti Alce Nero costavano 4,34 euro al chilo mentre ora stanno a 4,84 euro (+11%); Girolomoni cresce da 4,40 a 5,10 euro al chilo (+16%). Aumenti anche per gli spaghetti private label della Grande distribuzione: Coop è passata da 1,38 a 1,84 euro al chilo (+33%); Esselunga registra un incremento più contenuto (+26%) passando da 1,09 a 1,38 euro; Conad infine passa da 0,78 a 1,09 euro (+39%) per due confezioni da 500 grammi.

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I listini della pasta venduta nei discount, pur contenuti in valori assoluti, raddoppiano però in quasi due anni le quotazioni: gli spaghetti Lidl li abbiamo acquistati nel 2020 a 0,59 euro mentre a dicembre del 2022 li pagavamo 1,25 euro (+110%); Eurospin da 0,65 arrivava a 1,25 euro (+92%). A maggio 2023 poi abbiamo registrato dei nuovi aumenti per i due leader di settore, Lidl e Eurospin: entrambe le catene hanno “arrotondato” a 1,30 euro il prezzo di un chilo di spaghetti, portando così l’aumento rispetto al 2020 rispettivamente a +120% e +100%.
I rincari non si fermano qui. In base ai dati del nostro osservatorio, registriamo per le due insegne della spesa low cost aumenti significativi anche su altri generi alimentari come mostra l’infografica pubblicata in queste pagine. Prendiamo l’extravergine (miscela di oli comunitari): il balzo inflattivo in due anni è lo stesso – +53% – per entrambe le insegne così come i prezzi, uguali al centesimo.

Questa anomala somiglianza la rileviamo anche con i frollini a marchio: stesso listino tanto per Lidl che per Eurospin – 3,07 al chilo – e identico aumento (+8%) registrato a distanza di un anno dalle nostre rilevazioni. Passiamo al pollo (intero fresco): tra il 2022 e il 2023 da Eurospin il prezzo al chilo è rincarato del 43% mentre da Lidl “solo” del 9%. I listini di arrivo però anche in questo caso rischiano la sovrapposizione al centesimo (al chilo rispettivamente 4,28 e 4,25 euro). Sulla confezione da 6 uova il rincaro più marcato a distanza di dodici mesi lo riscontriamo da Lidl (+92%) mentre la corsa è più lenta per il diretto “concorrente” (+15%).

Formula “sporcata”

Al di là dei numeri, restano molte domande alle quali rispondere. Come nascono questi aumenti? E poi: la convenienza dei discount è davvero in declino?
Daniela Ostidich è presidente della società di strategie retail Marketing & Trade: “La formula originaria si è un po’ sporcata. Diciamo che è avvenuto un doppio avvicinamento: da un lato il discount si è livellato sui supermercati rivendendo un po’ i listini; dall’altro i punti vendita della Gdo si sono appiattiti sul modello della spesa low cost. Il risultato? Il discount è ancora un presidio di convenienza ma le insegne della Grande distribuzione in questi anni non sono state con le mani in mano: la promozione strategica delle private label è una risposta concreta ai consumatori che cercano di spendere meno”.
Ma come si spiega la diminuzione delle quantità acquistate? “Chi faceva spesa già al discount – aggiunge l’esperta – per risparmiare taglia le quantità. Chi non si rivolgeva a questi canali ora lo fa o meglio inserisce anche queste “tappe” nel tour della spesa. Gli ultimi dati indicano che mediamente a settimana un consumatore compie acquisti alimentari in 4-5 punti vendita diversi”. Il tasso di infedeltà insomma cresce ma nonostante gli escamotage messi in campo per rispondere all’inflazione non si riesce a riempire il carrello come una volta.

La struttura costi

Resta ancora da capire perché l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari sia stato più marcato nei discount rispetto agli altri canali di vendita. Marco – nome di fantasia – lavora da anni nel settore e – dietro garanzia di anonimato – ci aiuta a decifrare le tendenze in atto. “La struttura dei prezzi praticati nei discount è molto rigida: tra il costo di acquisto del prodotto e il prezzo di vendita c’è poco spazio. Inevitabilmente quando ci sono tensioni sulle materie prime – sia in aumento che in diminuzione – queste si ripercuotono direttamente sui listini al consumatore perché il discount non ha altre voci su cui intervenire”.
E per i prezzi della Gdo è diverso? “Assolutamente sì: tra il costo di acquisto e il prezzo finale – prosegue il nostro interlocutore – c’è il mare: pesano le promozioni, la pubblicità, il marketing, le superfici dei negozi molto diverse e più invitanti. È chiaro che se ci sono aumenti negli approvvigionamenti o nei costi energetici, la Gdo può intervenire tagliando le promozioni e le spese per marketing e pubblicità. Sulla struttura, insomma, i supermercati ‘classici’ hanno più occasioni di intervenire e quindi di contenere gli aumenti”.
A conferma di quanto ci racconta il nostro interlocutore, gli ultimi dati diffusi mostrano un calo netto delle promozioni sugli scaffali della Gdo. Se nel 2019 con i prodotti scontati si riusciva a risparmiare fino al 30% dello scontrino, nel 2022 questo percentuale è scesa al 25% e nei primi mesi di quest’anno la convenienza si è ulteriormente abbassata al 23%.