Sport e bambini: un’attività per ogni età

SPORT BAMBINI

I bambini dovrebbero fare sport già dalla tenera età, con le dovute differenze e intensità nei movimenti. Ma lo stile di vita dei genitori, già prima della nascita dei piccoli, può essere determinante. Il “calendario” completo

Secondo i dati diffusi dal ministero della Salute, contenuti nel rapporto del sistema di sorveglianza “Okkio alla salute”, il 20,3% dei bambini italiani non ha svolto attività fisica il giorno precedente una indagine del 2019. Il 18% pratica sport per non più di un’ora a settimana, mentre il 43,5% possiede il televisore nella propria camera. Solo 1 bambino su 4 si reca a scuola a piedi o in bicicletta.

La quota di bambini che trascorre più di 2 ore al giorno davanti agli apparecchi elettronici (tv, videogiochi, tablet, cellulari) risulta in sensibile aumento rispetto agli anni precedenti (44,5%). Emerge inoltre che il 40,9% delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga insufficiente attività motoria.

Questi numeri confermano più o meno quelli rilevati nel 2018 tramite l’indagine “Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi di età scolare” (Hbsc), condotta su un campione di studenti di 11, 13 e 15 anni. Rispetto alle precedenti rilevazione del 2014, si evince che l’attività fisica (un’ora di attività almeno 3 giorni a settimana) è in aumento in tutte le fasce di età, più nei ragazzi che nelle ragazze e più negli 11enni (59,20% contro il 57,31% del 2014). Tuttavia, solo 1 adolescente su 10 pratica almeno un’ora al giorno di attività fisica tutti i giorni e tendenzialmente i maschi sono più attivi delle femmine.

La tendenza è chiara. Facciamo chiarezza su questi aspetti fondamentali affinché il bambino segua un percorso efficace e a tappe.

A che età bisogna cominciare a fare sport?

Gli esperti dell’Irccs Humanitas e degli enti sanitari, riprendono gli indirizzi delle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), recepite dal ministero della Salute nel documento “Linee di indirizzo per l’attività fisica”. I bambini dovrebbero svolgere attività motoria fin dalla più tenera età, secondo modi e tempi che cambiano in base alla crescita e allo sviluppo.

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Prima della nascita

Essì, mettere le radici è importante. Dei genitori attivi dal punto di vista motorio, sin dalla fase preconcezionale e poi nella gestazione, e fin dalla primissima infanzia, possono facilitare la strada al futuro bambino che verrà. Uno stile di vita sano fa bene alla madre che concepirà il figlio, e apporta benefici all’intero nucleo familiare.

I benefici dello sport durante la gravidanza riguardano la salute della mamma e del futuro nascituro. In questa fase, l’attività motoria:

·       Favorisce una buona circolazione con effetti benefici sul feto;

·       Permette di tenere sotto controllo il peso corporeo;

·       Riduce il rischio di diabete gestazionale, pre-eclampsia, nascita pretermine, varici venose e trombosi delle vene profonde;

·       Apporta benefici psicologici, che includono riduzione della stanchezza, dello stress, della depressione.

Nel post-partum:

·       Contribuisce a ridurre la depressione e l’ansia;

·       Aiuta a migliorare l’umore;

·       Favorisce la funzionalità cardiorespiratoria;

·       Permette di tenere sotto controllo il peso corporeo.

Sport dalla nascita

Le linee di indirizzo raccomandano attività motoria già per i neonati e i bambini di età inferiore a 1 anno. In questa fase è importante che gli stimoli arrivino dai genitori. Un’adeguata attività fisica può contribuire a stimolare il movimento e la muscolatura del bambino.

Ecco come andrebbe svolta:

·       Cambiare spesso la posizione che assume durante il giorno;

·       Lasciare il bambino a pancia in giù, sul pavimento, in posizione prona, quando è sveglio, in diversi momenti del giorno e per pochi minuti, aumentando progressivamente la frequenza nel tempo. Bisogna interrompere l’attività quando il piccolo piange, riproponendola in un altro momento;

·       Quindi, lasciare il meno possibile il bebè davanti a uno schermo multimediale, fermo in carrozzina, nella sdraietta, sul seggiolone o nel marsupio;

·       Aiutare il bambino nello sviluppo psicomotorio incoraggiandolo a seguire con lo sguardo, a toccare, e ad afferrare oggetti.

Sport da 1 a 4 anni

Superato il primo anno di vita, e fino ai 3-4 anni di età, i bambini dovrebbero praticare almeno 3 ore (180 minuti al giorno) di attività fisica di varia intensità e in presenza di genitori o caregivers. Meglio se l’attività è accompagnata da giochi stimolanti e creativi, come costruzioni, puzzle, in modo da sviluppare sia l’aspetto motorio, che quello cognitivo, incentivando il piccolo al movimento.

Bisogna limitare al massimo alcune insane abitudini, quali:

·       Trascorrere troppo tempo seduti;

·       Fare lunghe passeggiate su passeggini;

·       Passare troppo tempo davanti a uno schermo.

Sport fino a 5 anni (età prescolare)

È tra i 3 e i 5 anni che il bambino comincia a cristallizzare uno schema motorio sia nel movimento, che nella camminata. In questa fase può mettere in pratica movimenti atletici specifici, come ad esempio nuotare, calciare il pallone, sciare. Determinante può essere il supporto dei genitori o di esperti di centri sportivi per bambini.

I medici dell’Ospedale Bambino Gesù consigliano una attività completa che metta in moto la maggior parte dei muscoli e che aiuti il bambino a sviluppare la coordinazione neuromuscolare.

Correre, saltare, lanciare e afferrare oggetti in attività di gioco-motricità sono le componenti ideali dell’allenamento a questa età.

È consigliabile anche, quando possibile, la pratica del nuoto, che aiuta il bambino a muoversi nell’acqua con facilità (acquaticità) e senza timore. Gli esperti della Fondazione Umberto Veronesi sottolineano l’importanza del movimento motorio nei primissimi anni di vita. È questo il momento in cui si verifica il maggior sviluppo motorio e cognitivo. Ma, nella prima infanzia è preferibile scegliere sport individuali come il nuoto o la ginnastica, formando il piccolo nell’apprendimento dei primi schemi motori di base. Tutti i bambini devono essere spinti a muoversi e sperimentare ogni tipo di movimento per avere una base solida sulla quale poter successivamente costruire movimenti più complessi.

Sport dai 5 anni in poi

A questa età cresce la statura e si affinano l’apprendimento motorio, la coordinazione, l’organizzazione degli spazi e del tempo. Le attività motorie possono essere più specifiche. Fino agli 11 anni, quindi all’età prepuberale, i bambini dovrebbero praticare una media di 60 minuti di attività fisica quotidiana di intensità moderata-vigorosa, senza escludere il gioco.

Le linee di indirizzo raccomandano discipline prevalentemente aerobiche. Ma va bene anche l’attività fisica generica. Il bambino non dovrebbe essere indirizzato verso una sola disciplina, ma deve praticare sport differenti e di suo gradimento, sempre con uno spirito di gioco e non di competizione.

A questa età – sostengono i pediatri del Bambin Gesù – viene introdotto uno degli accessori indispensabili dello sport: la palla. Calcio, basket, pallavolo, rugby diventano così discipline che permettono uno sviluppo armonico e un divertimento assicurato, lavorando anche sulla socialità.

Lo sport agonistico dai 9 anni in su

Dai 9-12 anni si può iniziare a parlare di attività fisica competitiva, ponendo più attenzione a una singola disciplina. Questa viene definita l’età della specializzazione sportiva. Spesso, quando il livello competitivo si innalza, il gioco diventa un affare serio.

In questa fase sarà compito degli allenatori e dei genitori non caricare il bambino di responsabilità superiori a quelle tipiche dell’età e soprattutto di non esagerare con le aspettative.

Le responsabilità e il ruolo dei genitori

Dal Bambin Gesù sottolineano l’importanza delle responsabilità genitoriali. Oltre a seguire il bambino sin dalla nascita, quando poi cresce e eventualmente si affaccia all’agonismo dovrebbero ricordare che lo sport è divertimento. Tutti gli adulti che sono intorno a un piccolo sportivo, anche quando tira un rigore, non devono dimenticare che un bambino si deve innanzitutto divertire.

I casi recenti, che hanno raggiunto la cronaca, di giovani atlete della ginnastica ritmica che riferiscono di aver subito pesanti condizionamenti in ragione del controllo del peso, al di là dei risvolti giuridici, suggeriscono come praticare sport necessiti di un patto tra i piccoli atleti, i genitori e gli allenatori.

È noto a tutti come il risultato sia frutto di sacrificio, ma questo impegno, particolarmente in età pediatrica, non deve mettere a rischio la salute del bambino. Secondo la definizione dell’Oms, per salute si intende la condizione di benessere fisico, mentale e sociale, e la sana e corretta pratica di sport.

Come fare con gli impegni scolastici?

Troppo spesso si tende a pensare che sacrificare lo sport sia una scelta più vantaggiosa, a fronte degli impegni scolastici che cominciano a gravare sui bambini dall’età scolare in poi. Questa apprensione da parte dei genitori non trova riscontro negli studi scientifici. È possibile conciliare l’attività fisica con un buon rendimento scolastico. Dai numerosi studi emerge che lo sport non rappresenta un ostacolo al percorso scolastico, anzi, contribuisce anche a supportarlo. Aiuta lo sviluppo cognitivo, sociale e affettivo dei giovani e favorisce un maggior livello di attenzione e un minore assenteismo a livello scolastico. I giovani atleti hanno anche, in genere, una maggiore autostima rispetto ai coetanei sedentari. Si può registrare persino un miglioramento del rendimento scolastico in relazione all’aumento dell’attività sportiva.

Nel periodo dell’adolescenza è importante scongiurare il più possibile il pericolo di drop out sportivo, fenomeno che consiste nell’abbandono dell’attività sportiva. Le cause che inducono a non praticare attività motorie sono principalmente dovute al carico di compiti, alla difficoltà di conciliare non solo sport e scuola, ma anche sport e amicizie e, più in generale, sport e attività extra scolastiche.

L’adolescenza è anche un periodo di cambiamenti e fragilità. I ragazzi tendono ad abbandonare passioni e attività sportive per le quali non sono riusciti ad appassionarsi. Gli psicologi invitano i genitori a recepire questa rassegnazione come un campanello di allarme che possa nascondere bisogni e disagi ben più profondi. A volte può essere l’inizio di una depressione giovanile. Questi cambiamenti andrebbero affrontati con il dialogo, l’ascolto, la pazienza e, eventualmente un percorso psicoterapeutico.

Ma le scuole italiane sono carenti di strutture

Dalla Fondazione Umberto Veronesi ricordano quanto, nonostante le scuole abbiano a cuore il benessere mentale e fisico dei ragazzi, fino a poco tempo fa in Italia, a differenza di tutti gli altri paesi europei, le ore di ginnastica nelle scuole elementari erano facoltative. Proprio tra i 6 e gli 11 anni, età cruciale per la formazione fisica dei bambini, l’attività fisica era subordinata alla disponibilità delle maestre e alla presenza delle palestre. Dal 2022 è stato introdotto l’obbligo di svolgere educazione fisica anche nelle scuole primarie, dove gli insegnanti devono essere debitamente formati e specializzati, con competenze motorie e pedagogiche.

La legge di Bilancio 2021 prospettava un ottimo sostegno all’attività fisica scolastica. Infatti, per l’assunzione di nuovi insegnanti di educazione fisica era previsto lo stanziamento di 29,91 milioni per il 2022, 116 per il 2023, 169 per il 2024 e 171 per il 2025. Purtroppo, però, come annunciato nel decreto attuativo dell’aprile 2022, a causa delle poche risorse, Miur e governo hanno deciso che la novità vale solo nelle circa 24.500 classi di quinta elementare.

Senza contare che soltanto il 40,8% delle scuole italiane ha una palestra, con enormi differenze regionali (la percentuale precipita in Calabria con il 20,5%). Sono quindi gli uffici scolastici a dover contattare i Comuni per trovare degli spazi adeguati vicini alla scuola, da attrezzare opportunamente.

La decrescita demografica, inoltre, fa sì che in molte scuole elementari ci siano poche classi quinte, solo una o due; questo significa che per arrivare alle 18 ore minime di lavoro che di norma un insegnante totalizza in un solo istituto, quello di motoria dovrà muoversi tra tanti plessi diversi, talvolta in comuni diversi, non certo la situazione più comoda e funzionale.