Che cos’è lo stress da lavoro e cosa deve fare il lavoratore che intende ottenere un risarcimento del danno: l’onere della prova e le pronunce della Cassazione.
Nell’odierno mondo del lavoro sono molti i casi di lavoratori che accusano malessere causato proprio dall’attività svolta. È il cosiddetto stress da lavoro dovuto, spesso, da eccessive richieste da parte dei datori e da orari che ledono fortemente la vita del lavoratore. Il fenomeno, stando ai numeri, si sarebbe acuito molto negli ultimi anni a causa della possibilità di svolgere l’attività da remoto. La diffusione dello smart working ha, infatti, permesso di lavorare ovunque e, quindi, anche fuori dall’orario di lavoro stabilito. Non tutte le aziende, infatti, tengono conto del cosiddetto diritto alla disconnessione, con le richieste di modifiche o aggiunte che arrivano anche in momenti della giornata diversi dall’orario di servizio stabilito. Chi subisce tale condizione ha una sempre maggiore difficoltà a distinguere la vita privata da quella lavorativa, con la salute che ne risente fortemente. Questo malessere può manifestarsi in diverse forme, con il lavoratore che ha il diritto di richiedere un risarcimento del danno subito, riuscendo però a dimostrare la correlazione causa – effetto.
Stress da lavoro, cos’è
Identificare lo stress da lavoro non è molto semplice in quanto ogni persona ha una diversa sensibilità così come una differente percezione degli impegni e della gestione del tempo. Il danno da lavoro eccessivo, inoltre, può manifestarsi in diverse forme, che vanno dallo stress all’affaticamento mentale e fisico, fino alla perdita di concentrazione e alla riduzione delle prestazioni lavorative. Se ne deduce che tale sintomatologia possa andare ad inficiare negativamente anche la vita privata del lavoratore, in una sorta di circolo vizioso molto difficile da affrontare senza aiuto psicologico. È inoltre possibile dire che lo stress da lavoro eccessivo riguarda spesso i casi nei quali lo svolgimento di un’attività lavorativa eccede un ragionevole livello di tollerabilità. Ecco dunque che esempi tipici si verificano nei casi in cui al lavoratore:
- venga chiesto, in maniera continuativa, di superare i limiti dell’orario di lavoro con l’imposizione di straordinari;
- vengano richiesti degli obiettivi troppo ambiziosi e, soprattutto, inconciliabili con lo svolgimento di una normale attività lavorativa;
- venga richiesto, in modo continuativo, di lavorare durante le festività o nei weekend;
- venga chiesto di rinunciare alle ferie o vi sia il loro continuo rimando.
Dai discorsi fin qui affrontati, emerge chiaramente che il datore di lavoro debba necessariamente tutelare e rispettare la salute dei propri dipendenti, sia quella fisica che quella mentale. Non può dunque consentire ad un operato che venga meno a tale assunto solo in virtù di accordi raggiunti con il dipendente stesso, che, magari, ha accettato la prestazione lavorativa eccedente l’ordinaria tollerabilità solo per il timore di perdere il proprio posto. Il datore, infatti, assicura tutte le misure cautelative dell’integrità fisico-psichica del lavoratore, comprese quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte di un solo soggetto. Se l’imprenditore non si dimostra attento all’incolumità fisica e mentale dei propri lavoratori, potrebbe subire delle sanzioni. Esempio tipico in tal senso è il mancato adeguamento del personale in caso di carichi di lavoro eccessivi, che porta inevitabile ad un sovraccarico per tutti i dipendenti e che, eccedendo la normale tollerabilità, potrebbe causare danni alla salute dei lavoratori. E ancora, la sanzione per il datore può arrivare nei casi in cui l’ambiente di lavoro sia stressante e dannoso per la salute dei lavoratori.
Risarcimento del danno per stress da lavoro
I casi in precedenza descritti possono essere denunciati dai lavoratori. Più nello specifico, al verificarsi di date condizioni supportate da prove, i lavoratori hanno diritto ad ottenere un risarcimento del danno subito proprio a causa del lavoro. Entrando più nello specifico, è possibile richiedere i danni in base alle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro e sulla tutela della salute mentale, andando però ad accettare la presenza di un reale nesso di causalità tra il lavoro che eccede le soglie di tollerabilità e il danno subito . Ma cos’è necessario fare per ottenere il risarcimento e tutelare, al contempo, la propria salute e la carriera professionale? Iniziamo col dire che il lavoratore che manifesta stress da eccessivo lavoro e vuole ottenere un risarcimento dovrà, prima di tutto, dimostrare le proprie ragioni. Il datore di lavoro, una volta ottenuta la richiesta di risarcimento, potrà invece palesare che, invece, l’attività lavorativa si è svolta nel rispetto della tutela fisica e mentale. In passato ottenere risarcimenti da sovraccarico di lavoro era molto più difficile rispetto a quanto avviene oggi. L’evoluzione della società in riferimento ai problemi psicologi ed ad una maggiore attenzione alle dinamiche lavorative, infatti, hanno spinto sempre più i giudici a tutelare la figura dei lavoratori che riescono a dimostrare il rapporto di causa effetto del proprio stato di malessere. L’obiettivo è dunque quello di incentivare a segnalare delle situazioni di disagio che si manifestano nei luoghi di lavoro, in modo da ridurre nel tempo la possibilità che queste possano continuare a verificarsi. Sul tema si è più volte espressa anche la Corte di Cassazione, sottolineando nella sua ordinanza n. 34968/2022, gli oneri probatori delle parti coinvolte quando si cerca di ottenere un risarcimento. Citando l’articolo 2087 del codice civile, la Suprema Corte ha ricordato che questo lascia a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. L’imprenditore, dunque, deve adottare tutte le misure atte a salvaguardare l’incolumità dei propri dipendenti. Queste, come ribadito dalla Corte d’appello di Milano nella sentenza n. 555/2022, possono essere distinte tra:
- le misure tassativamente imposte al datore di lavoro dalla legge;
- le misure generiche previste dalla comune prudenza;
- tutte le ulteriori misure che in concreto si rendono necessarie.
Risarcimento danni: le prove
Per ottenere un risarcimento per lo stress da lavoro, il lavoratore deve portare a sostegno della sua tesi delle prove concrete che accertino il rapporto di causa – effetto. La richiesta di risarcimento, infatti, dovrà essere presentata in tribunale attraverso un avvocato di fiducia. Andrà dimostrato che il danno è stato causato da un ambiente di lavoro nocivo per la sua salute fisica o mentale e che la prestazione lavorativa è stata richiesta in modo deviante, cioè con ritmi o quantità di produzione insostenibili o per un periodo di tempo troppo lungo. Ciò che è richiesto al lavoratore è di evidenziare i fattori di rischio per la sua salute derivanti dall’ambiente in cui ha svolto la propria attività, ma senza dover per forza sforzarsi nell’individuazione della specifica norma violata dal datore. Tale ultimo aspetto è reso possibile dal fatto che, denunciando lo svolgimento di prestazioni lavorative oltre la soglia di tollerabilità, viene di fatto dedotto un inadempimento dell’obbligo di sicurezza previsto dall’ex articolo 2087 del codice civile. Volendo fare alcuni esempi concreti, il lavoratore potrà riportare semplicemente le modalità qualitative improprie, per ritmi o per quantità di produzione insostenibili, così come l’applicazione di misure temporali eccedenti i limiti previsti dalla normativa o, in ogni caso, irragionevoli. Evidenziate le cause, al lavoratore e al suo avvocato spetterà definire che il danno fisico o mentale è stato conseguente al lavoro deviante svolto, in un vero e proprio rapporto di causalità. Dovrà in sostanza dimostrare che la causa del pregiudizio alla salute subito deriva dall’attività lavorativa.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
Il ruolo del datore
Fin qui abbiamo focalizzato la nostra analisi ponendoci dal punto di vista del lavoratore che accusa stress da lavoro, mentre ora spostiamo l’attenzione sul datore di lavoro e sulle opzioni che lo stesso ha per difendersi dalla richiesta di risarcimento intentata dal suo dipendente. Nel momento in cui viene citato in giudizio, ha l’onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Dovrà dunque fornire gli elementi necessari ad attestare la propria attenzione all’adozione delle cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno stesso e che, dunque, la prestazione si è sempre svolta:
- secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica;
- con modalità normali, congrue e tollerabili;
- nel rispetto della salute fisica e mentale del lavoratore e che, dunque, vi sia l’assenza concreta di un nesso di causalità tra il pregiudizio denunciato e l’operato imprenditoriale.
Il mobbing
Nei casi più estremi di stress derivante da lavoro, si riscontrano anche i presupposti previsti per il mobbing. Con questo termine si indica la situazione di terrore psicologico che si viene a creare sul posto di lavoro e che si manifesta mediante comportamenti ed atteggiamenti ostili e moralmente scorretti da parte di una o più persone verso un solo individuo. Nel caso dello stress da lavoro eccessivo, il mobbing si palesa nel caso in cui a spingere le richieste del datore di lavoro sia un intento di natura persecutoria ai danni di uno specifico lavoratore. La volontà, in questi casi, è quella di umiliare ed emarginare un lavoratore e, nei piccoli ambienti di lavoro dove cioè il datore è a diretto contatto con i dipendenti, il mobbing va ad integrare il reato di maltrattamenti. Anche in presenza di mobbing il lavoratore dovrà avvalersi di un avvocato e denunciare l’accaduto davanti ad un giudice, con la possibilità di ottenere un risarcimento che dipenderà, anche in questo caso, dalla presenza di prove concrete a proprio sostegno. In questi casi, inoltre, le somme del risarcimento sono decisamente più elevate in quanto, oltre che del danno fisico e morale, si tiene conto anche di quello psicologico e alla salute.
Alcune sentenze della Corte di Cassazione
Vista la specificità del caso in esame, può essere utile ricordare alcune sentenze espresse negli ultimi anni dalla Corte di Cassazione sullo stress da lavoro. Partiamo dal già citato ex articolo 2087 del codice civile, per i danni causati da un’attività che ecceda la ragionevole tollerabilità. Per ottenere il risarcimento è previsto che il lavoratore possa provare che lo svolgimento della propria prestazione avveniva secondo modalità nocive, tali da configurare un nesso di causalità tra il lavoro svolto e il danno subito. Tale assunto parte dal fatto che è il datore di lavoro ha il dovere di assicurare al lavoratore che l’attività svolta non risulti pregiudizievole per l’integrità fisica e mentale. Nell’ordinanza n. 34968 del 28 novembre 2022, la Corte di Cassazione, ha sottolineato che “rientra nell’obbligo datoriale di protezione previsto dall’articolo 2087 del codice civile, in interazione con il diritto del lavoratore alle mansioni corrispondenti all’inquadramento (articolo 2103)”, la tutela contro la malattia professionale da costrittività organizzativa da lavoro. E ancora, si potrà configurare una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato nel momento in cui venga mantenuto nei confronti di un dipendente “un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute”.
Particolare menzione merita anche l’ordinanza della Suprema Corte n.33428 dell’11 novembre 2022, nella quale viene ribadito l’onere delle prove a carico del lavoratore che intende ottenere un risarcimento per lo stress da lavoro. Il lavoratore deve “riportandosi alle conclusioni della commissione medica ospedaliera o del comitato di verifica in sede di accertamento della dipendenza dalla causa di servizio, ma deve provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, e il nesso tra l’uno e l’altro elemento”. Come detto anche in precedenza, il datore di lavoro potrà invece difendersi portando delle prove che attestino che, nello svolgimento della propria attività, abbia adottato tutte le cautele necessarie per impedire il danno.
In ultimo riportiamo la sentenza 2875 del 30 giugno 2022 della Corte d’appello di Roma nella quale si sottolinea che “il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro”. È dunque un’ulteriore pronuncia sulla necessità, per il lavoratore, di dimostrare le proprie ragioni avvalendosi di prove. Viene infine anche ribadito che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia nei casi in cui vi sia un’omissione nell’adottare le idonee misure protettive, sia in quelli in cui non accerta e vigila che di queste misure il dipendente faccia effettivamente uso.