Spesso differenziando i nostri rifiuti facciamo inconsapevolmente errori che possono compromettere i nostri sforzi e complicare la vita a chi deve separarli. Vediamo le regole principali, valide in qualunque Comune
In Italia la gestione della raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani è di competenza degli enti territoriali locali raggruppati in Ato (Ambito Territoriale Ottimale). Come illustra l’Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) gli Ato rappresentano porzioni di territorio nelle quali è organizzato il servizio di gestione rifiuti. Questa cooperazione è prevista dal Codice dell’Ambiente, il quale dispone che i Comuni esercitino le loro funzioni in forma collettiva, con l’obiettivo di gestire il servizio in modo efficiente dal punto di vista dell’economicità e della tutela ambientale.
Dagli Ato e dai capitolati d’appalto affidati alle ditte di smaltimento e gestione rifiuti, dipende l’efficienza del servizio di raccolta differenziata.
I dati aggiornati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) rivelano che nel 2020 la raccolta differenziata nazionale ha raggiunto quota del 63,04% dell’intera produzione di rifiuti urbani (circa 29 milioni di tonnellate). Nel Nord Italia la differenziata supera il 70%. Al Centro non arriva al 60, nel Sud scende a quota 53%.
Cifre alla mano, si scopre che delle 29 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti, 18 milioni finiscono nell’indifferenziato. Secondo gli esperti del settore una buona metà di questi rifiuti generici potrebbe rientrare nel ciclo del recupero, se solo gli Ato e le istituzioni svolgessero attività informative, perché spesso non è chiaro cosa l’utente debba conferire nell’indifferenziato.
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I numerosi imballaggi, di materiale misto e differente, che avvolgono i prodotti della grande distribuzione non aiutano di certo e alimentano la confusione.
“La differenziata senza errori” è il titolo di una delle guide pratiche che Il Salvagente ha pubblicato in un inserto approfondito che parte da un interrogativo molto più comune di quanto non si pensi: questo rifiuto dove lo butto?
Cosa si butta nell’indifferenziata
Partiamo proprio dal nostro speciale per fare chiarezza davanti a questa montagna di errori che compromettono una filiera importante dell’economia circolare.
Cominciamo da tutto ciò che non si può differenziare, dunque tutto quello che non si può riciclare e che non avrà una seconda vita.
Nell’indifferenziato si conferiscono i seguenti oggetti che riportiamo in ordine alfabetico:
Accendini; aghi e filo da cucito; apriscatole; assorbenti igienici; bacinelle; bambole e giocattoli piccoli non elettrici; bastoncini per orecchie (cotton fioc); batuffoli di cotone; bianchetti; bicchieri di cristallo; bigiotteria; biglietti autobus magnetici; bottoni; calamite; calze di nylon; candele; carta da forno; carta lucida da disegno; carta per alimenti; carta plastificata; carta vetrata; cassette audio/video; cassette sporche o unte; cavi elettrici (piccole quantità); cd/dvd/blu-ray; cenere sigaretta e cicche; ceramica (cocci); cerniere e chiusure lampo; cerotti; chewing gum; cialde di plastica; collant e calze; cristallo; elastici; escrementi animali (lettiere); etichette adesive; feltrini; fiori finti; floppy disk; forbici; fotografie e pellicole; garze; giocattoli; gomma da masticare; gommapiuma; graffette e fermagli; guanti in lattice; lamette; lampadine (a incandescenza); lastre/radiografie; matite; mollette per il bucato; nastri adesivi; occhiali; ombrelli; ovatta; pannolini; peluche; penne a sfera – biro; penne e pennarelli; piastrine per zanzare; piatti ceramica e porcellana; preservativi; rasoi (non elettrici); rullini fotografici; sacchetti aspirapolvere; schede telefoniche e magnetiche; scontrini fiscali; siringhe; spazzole per capelli; spazzolini da denti; spugne; tamponi per timbri; tazzine in ceramica o porcellana; utensili piccoli; viti, chiodi e bulloni (piccola quantità); zerbini.
Gli errori più comuni nella raccolta differenziata
Ci sono oggetti e prodotti di largo consumo che spesso, a causa dell’informazione poco chiara, finiscono nei cassonetti differenziati quando in realtà andrebbero gettati tra i rifiuti generici indifferenziati, poiché non riciclabili per una serie di caratteristiche materiali e chimiche.
Gli oggetti più comunemente riciclati ma che andrebbero buttati nell’indifferenziato (o altrove rispetto a quanto si pensi), sono:
- Scontrini fiscali.
Almeno quelli composti di carta termica, quindi non riciclabili. Vanno nell’indifferenziato.
- Imballaggi in plastica misti.
Un esempio su tutti: lo spazzolino è misto e va nell’indifferenziato, il tubetto di dentifricio nella plastica.
- Cristallo e pyrex.
Sono i falsi amici del vetro, ma incompatibili con il riciclo. Quindi, indifferenziata.
- I cartoni delle pizze.
Vanno nell’indifferenziato se unti e sporchi.
- Imballaggi riportanti il simbolo del triangolo con all’interno il numero 07.
Tutti questi imballaggi e confezioni vanno nell’indifferenziata.
- Piatti, bicchieri, posate usa e getta.
Bisogna distinguere anche qui l’imballaggio dall’oggetto, come per lo spazzolino e il dentifricio. Bicchieri e piatti sono imballaggi che vanno nella plastica. Le posate vanno nell’indifferenziato.
- Cocci rotti di tazze e piatti.
Le ceramiche non vanno nel vetro, ma nell’indifferenziato. Potrebbero compromettere un’intera campana ricolma di vetri.
- Carta oleata, sacchetti del pane, carta da forno.
Vanno assolutamente nell’indifferenziato e non nella carta.
- Imballaggi misti di carta e plastica.
Come quelli che avvolgono i salumi. Vanno separati. Nell’impossibilità di separarli, vanno gettati nell’indifferenziata.
- Tovaglioli e fazzoletti usati e sporchi.
Sono fibre vegetali, quindi non vanno nell’indifferenziato, ma nell’umido.
- Bottiglie di plastica e tappi.
Vanno spianate e non schiacciate dall’alto verso il basso, con il tappo agganciato, e conferite nella plastica.
- Lampadine.
Non tutte sono in vetro. Le lampadine alogene o incandescenti vanno nell’indifferenziato. Quelle a led, a neon o fluorescenti, sono rifiuti RAEE elettrici o elettronici, perciò vanno conferite nei centri di raccolta per RAEE.
- Bioplastiche.
Sono oggetti di materiali di origine vegetale biodegradabili e compostabili. Tutti rifiuti per i quali occorre seguire le indicazioni e le regole imposte dai Comuni di residenza.
L’importanza dell’umido
L’Italia è un paese d’eccellenza in Europa nella differenziata della carta. L’ultimo rapporto di Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica) ha certificato i dati record del 2021: ogni italiano ha differenziato oltre 60 Kg di carta e cartone (3,6 milioni di tonnellate). Ma già nel 2020 il tasso di riciclo degli imballaggi cellulosici aveva superato l’obiettivo europeo dell’85% da raggiungere entro il prossimo 2035. Nel 2021 gli italiani hanno sfiorato il 90%.
Anche la raccolta di plastica e vetro procede spedita.
Invece quella dei rifiuti organici, ossia la raccolta dell’umido, è più complessa, e sconta una scarsa consapevolezza da parte degli italiani.
Ma allora, dove finiscono gli scarti del cibo che buttiamo? Jenny Campagnol, tecnico del Consorzio italiano compostatori, rispondeva così, nel 2020, al Salvagente:
“Quando i rifiuti organici finiscono nel contenitore apposito, vengono presi dal servizio di raccolta differenziata e arrivano negli impianti di trattamento biologico, divisi in impianti di compostaggio e combinati, quelli che fanno anche digestione anaerobica”.
La differenza è che questi ultimi producono anche biogas, da cui si può ottenere il biometano che può essere impiegato nei trasporti o per l’energia. Si brucia questo gas, ad esempio, per produrre riscaldamento. Su 308 impianti presenti in Italia, solo 47 fanno però anche la digestione anaerobica, perché servono grandi dimensioni per ammortizzare l’investimento iniziale. E anche dove esistono, non sono sfruttati al massimo.
Dalla nostra inchiesta emergeva l’assenza di disposizioni normative adatte per collegare la produzione alla rete di distribuzione del gas. Inoltre, gli impianti per trattare l’organico sono molto carenti nel Centro Sud, tanto è vero che i comuni ricicloni del meridione spesso raccolgono l’organico e lo devono spedire a centinaia di chilometri di distanza, pagando costi di trasporto insostenibili, paradossalmente più alti che buttando tutto in discarica.
Com’è la situazione nel 2022?
Massimo Centemero, direttore del Consorzio italiano compostatori, proprio quest’anno, in un periodo di crisi energetica come quello che stiamo attraversano, ha fatto notare quanto in Italia la filiera del recupero dei rifiuti organici sia cresciuta, grazie alle aziende pubbliche e private. Ma il Centro e il Sud Italia risentono ancora della carenza di impianti dedicati. La sfida è quella di ampliare o costruire nuovi impianti integrati per la produzione di compost e biometano.
A breve saranno più di 50 gli impianti operativi nella produzione di biometano. Ma il nostro paese può raggiungere obiettivi oggi impensabili, producendo fino a 3 miliardi di metricubi di biometano proveniente dalla trasformazione di biomasse di scarto.
Cosa va nell’umido (e come)?
Gli avanzi di cibo, tutto ciò che avanziamo dalla preparazione dei nostri pasti e dopo mangiato. Ma attenzione: le bucce spesse, come quelle di angurie e meloni, vanno tagliate a pezzettini per facilitare il processo di compostaggio, poiché perdono umidità più velocemente. Nell’umido va bene anche la carta da cucina o la parte “sporca” del cartone della pizza.
Cosa non va nell’umido
Come accade per gli imballaggi misti, anche nel caso dell’umido bisogna prestare attenzione quando si sparecchia la tavola. L’umido non deve contenere tappi che dimentichiamo sulla tovaglia, a meno che non siano in sughero, o coperchi in alluminio degli yogurt, carta stagnola, carta politenata (quella che incarta il formaggio, per esempio).
I sacchetti in bioplastica e materiali recanti la dicitura “materiale biodegradabile e compostabile” possono andare nell’umido.
Perché è importante differenziare
La guida de Il Salvagente cita uno studio della Ellen McArthur Foundation, secondo cui solo in Europa l’economia circolare può generare un beneficio economico da 1.800 miliardi di euro entro il 2030 e aumentare Pil e posti di lavoro. Sapere cosa separare e cosa non poter riciclare è importante. Gli Ato e gli enti locali devono investire di più nell’informazione. Dall’economia circolare non dipende solo l’economia, ma dipenderà anche il livello di inquinamento atmosferico e ambientale, che poi ha conseguenze sulle bollette in aumento, sull’economia stessa e, più in generale, sul futuro delle democrazie moderne.