Di fronte alla crisi energetica, Parigi e Berlino annunciano la nazionalizzazione delle maggiori reti di distribuzione. Abbiamo chiesto a Giovanni Battista Zorzoli, ingegnere ed esperto in energia, se la strada è percorribile anche in Italia
Lo scorso luglio il governo francese, di fronte alle enormi difficoltà sopravvenute in tutta Europa a causa dello stop del gas russo, ha annunciato la nazionalizzazione di Edf, la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia d’oltralpe, che entro ottobre dovrebbe essere completata con il riacquisto delle azioni necessarie e l’uscita della borsa.
Anche Berlino ha annunciato che nazionalizzerà il suo più grosso importatore di gas, Uniper, dopo i 20 miliardi di sussidi pubblici distribuiti negli ultimi mesi. Una decisione, quella di riportare il pallino delle distribuzione energetica nelle mani dello Stato, impensabile fino a un anno fa ma che ora spinge anche il nostro paese a interrogarsi sulle proprie politiche energetiche. Per questo, il Salvagente ha chiesto un parere a Giovanni Battista Zorzoli, già nel Cda Eni, ingegnere e docente italiano, esperto in energia nucleare e in fonti energetiche rinnovabili.
Ingegnere Zorzoli, Francia e Germania annunciano le nazionalizzazioni. Fanno bene?
Intanto diciamo che stiamo parlando di due operazioni molto diversa tra loro. Nel caso della Francia il governo, che possedeva già la maggioranza delle azioni di Edf, ne ha dovuto comprare una quota residuale. In Germania, invece, siamo di fronte a una decisione impensabile per la cultura tedesca fino a un anno fa, quasi una bestemmia.
Perché allora hanno deciso di nazionalizzare?
La Germania ha deciso di nazionalizzare Uper, il maggiore fornitore di energia per evitarne il fallimento. Questo avrebbe comporterebbe non solo tanti licenziamenti, ma il rischio per il paese di rimanere senza il maggiore fornitore di energia. Nazionalizzando, lo stato potrà continuare e mettere soldi su Uper per coprire i buchi. La causa della situazione critica è stata l’assurda posizione della Germania, che si è rifiutata di chiedere un tetto al prezzo del gas alla borsa di Amsterdam, per non rovinare i rapporti con l’Olanda.
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E in Francia, invece?
In Francia la radice del problema è diversa. Lì il problema, come qualsiasi manuale scrive, è che è sbagliato puntare su una “monocoltura” tecnologica, come in Francia il nucleare. Lì, una buona parte di centrali sono fuori uso per manutenzione, e a causa della siccità, i corsi d’acqua ristretti non hanno potuto portare l’acqua necessaria per mantenere la sicurezza in altre centrali, che sono state di conseguenza spente. Così, paradossalmente, la Francia è costretta a importare energia dall’estero. La nazionalizzazione serve a coprire i debiti maturati e gestire meglio la situazione.
L’Italia potrebbe o dovrebbe seguire il loro esempio?
Per il nostro paese, l’ipotesi nazionalizzazione è fuori discussione per un motivo molto semplice: non ci sono soldi. Tanto e vero che la Lukoil (compagnia petrolifera russa con sede a Gela), invece che nazionalizzarla, il governo italiano preferisce metterla sul mercato alla ricerca di un compratore straniero. L’Italia è un paese fortemente indebitato, una nazionalizzazione rischierebbe di far alzare lo spread e far saltare l’economia. Le grosse multiutility come Enel, Edison, A2A, per fornire energia devono chiedere garanzie alle banche. Queste garanzie diventano sempre più onerose, ed è sempre più difficile rispettarle.
Dunque, che armi ci restano?
Solo azioni di tamponamento, come ha fatto il governo Draghi e il ministro Cingolani con l’abbassamento del prezzo dell’energia per le industrie energivore e l’aumento del credito d’imposta per gli esercizi commerciali.
E per le famiglie?
Purtroppo, a meno di un miracolo, come il ritiro di Putin, penso che il prossimo governo sarà costretto a introdurre razionamenti obbligatori dell’energia. Gli italiani devono predisporsi a fare dei sacrifici.