La legge sul diritto alla disconnessione prova a porre un argine alle ripetute invasioni di campo nella vita privata. Lo smartworking ha i suoi vantaggi ma bisogna evitare che diventi un alibi per il controllo del lavoratore
Di un noto spot di vacanze estive ricordiamo la protagonista che si commuove mentre passa la spesa alla cassiera di un supermercato. Piange istericamente perché è tornata alla vita “terrena” e tra il bip di un prodotto e l’altro, ripensa ai momenti vissuti senza il tormento del cellulare, delle notifiche Instagram e Facebook, a quando era rilassata tra le sabbie dorate di un’isola deserta, dispersa in un atollo oceanico, completamente irreperibile dai colleghi di lavoro. Chissà quanti vorrebbero aver provato quella sensazione in questo periodo di ferie estive. Il riposo del lavoratore è sacrosanto e ben vengano le leggi sul diritto alla disconnessione. Il decreto numero 30 del 13 marzo 2021, poi convertito in legge a maggio, è stato di fatto il primo strumento normativo a parlare esplicitamente di “diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche”, per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore. Un diritto che rientra nell’alveo più ampio della Dichiarazione universale dei diritti umani, sanciti a Parigi nel 1948 con un documento sui diritti della persona adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite Onu, tramite la risoluzione 219077A.
Diritto al riposo e diritto allo svago
I primi due mattoncini di questo diritto umano risiedono nell’articolo 24 della Dichiarazione, che così recita:
“Ogni individuo ha il diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite”.
E nell’articolo 36 della Costituzione italiana: “La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Il diritto a non esserci per nessun collega, almeno in quei momenti”.
Diritto alla disconnessione e smartworking
Nell’era dei social network, dove l’oblio e l’anonimato sono quasi inconcepibili, e il lavoro si fa sempre più liquido, questo diritto assume particolare importanza. Inoltre, la pandemia ha accelerato alcuni processi del cambiamento che era già in atto prima che il “nemico invisibile” si insinuasse nelle nostre vite.
Ad esempio, con la scusa dello smartworking, il confine tra lavoro e vita privata (quindi tempo libero) si fa più labile. Spesso questa invasione viene giustificata con il fatto che il telelavoro da casa sia percepito come meno impegnativo. Come se questto fosse una concessione. Va a finire che un lavoratore va ben oltre le dovute ore previste da un regolare contratto. Il telefono non cessa di squillare, le reti sociali diventano strumento (consapevolmente o no) di controllo, la vita personale è compromessa.
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Diritto disconnessione e reperibilità
Se da un lato il “lavoro agile” da casa contribuisce alla smaterializzazione di orari e luoghi di lavoro (con notevole beneficio per le tasche, la salute e l’ambiente), d’altro canto si sono aperti nuovi interrogativi su alcuni aspetti delicati in tema di sfruttamento del lavoratore e tutela dei diritti umani.
Per questo, il 6 maggio 2021, la legge numero 61 ha sancito il diritto alla disconnessione in Italia, stabilendo che “è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.
Il lavoro flessibile, il lavoro per obiettivi e la vita privata
Fatta la legge, non si può tuttavia prescindere dai mutamenti produttivi e della società in atto molto rapidamente. Con il lavoro liquido cambia il concetto di reperibilità, ma cambia anche quello di produzione. Alessandro Raguseo, fondatore di Reverse, azienda internazionale di headhunting e risorse umane, può monitorare questo cambiamento. “In Italia siamo ancora lontani da una logica di lavoro per obiettivi e non per ore lavorate – sostiene – eppure, a mio parere è questa la chiave per ottenere un bilanciamento reale tra vita professionale e vita privata e di conseguenza dipendenti più soddisfatti e quindi più produttivi”. Insomma, lavoro e vita privata vanno sempre tenuti ben distinti. Ma in Italia non è ancora ben chiaro che una vita professionale più produttiva e gratificante per il lavoratore stesso dipende proprio dal tempo libero.