Giornata internazionale dedicata a Nelson Mandela: la storia e la lotta contro l’apartheid

nelson Mandela

La lotta di Nelson Mandela non è ancora finita. Il mondo è segnato da nuove apartheid. Il conflitto in Ucraina ha messo un muro tra profughi “falsi” e “veri”, distinzioni tra nuovi poveri, contraddizioni evidenti anche nel mondo ricco e opulento. I cambiamenti climatici rischiano di amplificare le diseguaglianze. C’è il razzismo più subdolo e pericoloso: i discorsi d’odio si annidano nelle reti sociali

 

Il 18 luglio si è celebrato il Nelson Mandela Day, una giornata indetta dalle Nazioni Unite nel novembre del 2009 con una risoluzione per ricordare cosa ha rappresentato l’attivista, morto a Johannesburg il 5 dicembre 2013, non solo nella liberazione del Sudafrica dall’apartheid, ma in generale nella lotta alla segregazione razziale.

Sullo sfondo, rileviamo casi sempre alti di razzismo e, da quando si sono sviluppate le reti sociali (social network), soprattutto di discorsi d’odio.

Il rapporto presentato da Lunaria nel 2020 fa luce sugli episodi oscuri di razzismo e discriminazione avvenuti in Italia tra il 2008 e i primi mesi del 2020: la rete, riconosciuta e sostenuta dalla Commissione europea, ha rilevato in quella fascia di tempo 5.340 casi di violenze verbali, 901 aggressioni fisiche contro la persona, 177 danneggiamenti alla proprietà, 1.008 casi di discriminazione.

Mandela in prigione, ha lottato contro un mondo in bianco e nero

Il 18 luglio la comunità internazionale rende omaggio all’ex presidente sudafricano Mandela, soprattutto per la sua dedizione e il suo coraggio a tutela della libertà e dei diritti umani.

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La forza di Mandela è stata quella di aver lottato contro tutti i domini, contro un mondo in bianco e nero. La traccia più tangibile di questa visione complessa la si può ricercare nel discorso durante il processo avviato contro le sue azioni. Nel 1944 si unì al Congresso Nazionale Africano (African National Congress, ANC) e operò attivamente per abolire la politica dell’apartheid stabilita dal Partito Nazionale al potere. Messo sotto accusa, in quella occasione disse:

“Ho lottato contro il dominio bianco e contro il dominio nero. Ho coltivato l’ideale di una società democratica e libera nella quale tutti potessero vivere uniti in armonia e con pari opportunità. È un ideale per il quale spero di poter vivere e che spero di ottenere. Ma se necessario, è un ideale per il quale sono pronto a morire”.

 

Mandela ha poi pagato con la prigione. Tanto che il 2015 è stato l’anno in cui si è finalmente posta l’attenzione sul tema dei diritti umani nelle prigioni, con l’obiettivo di promuovere condizioni umane nelle carceri, sensibilizzare sullo status dei carcerati come parte integrante della società e riconoscere il ruolo di coloro che lavorano nelle carceri e che svolgono un servizio sociale di particolare importanza.

In quello stesso anno, la Risoluzione A/RES/70/175 dell’Assemblea Generale dell’Onu ha adottato le cosiddette “Nelson Mandela Rules”, riguardanti gli standard minimi da rispettare per il trattamento dei prigionieri. Si tratta di un tributo a Mandela che scontò 27 anni in prigione per la sua lotta contro l’apartheid, per i diritti umani, l’eguaglianza e la democrazia.

Mandela, senza rancori per il passato, dopo la prigione

Il 2018 segna invece i 100 anni dalla nascita di Nelson Mandela. Il centenario è stata l’occasione per riflettere ancora una volta sull’eredità storica di una figura che ha incarnato nella sua persona i più alti valori delle Nazioni Unite.

La Fondazione Nelson Mandela sta promuovendo le “Azione contro la povertà”, a favore della giustizia sociale.

E infatti, una volta uscito di prigione, dopo la caduta dell’apartheid, Mandela vinse le elezioni e tentò subito di ridare speranza ad un paese in ginocchio aiutato dal capitano della squadra nazionale di rugby. Il suo discorso a margine della vittoria elettorale è stato rievocato dalla magistrale interpretazione di Morgan Freeman nel film “Invictus – L’Invincibile” che nel 2010 gli valse la nomina agli Oscar come miglior attore protagonista. Freeman lo rilegge integralmente:

“Dobbiamo ristabilire e riaffermare la dignità del popolo d’Africa e del mondo in via di sviluppo. Dobbiamo porre l’eliminazione della povertà in cima alle priorità mondiali. Dobbiamo sapere con una convinzione nuova che tutti condividiamo la stessa umanità e che la nostra diversità nel mondo è la forza del nostro futuro insieme”.

Un discorso senza rancori per il passato. A ricordarlo è anche il segratario generale Onu, António Guterres, il quale ha sottolineato con un messaggio ufficiale l’importanza dell’esempio di Mandela: “Nelson Mandela è stato tenuto prigioniero per molti anni. Ma non è mai diventato prigioniero del suo passato. Al contrario, ha incanalato le sue energie nella riconciliazione e nella sua visione di un Sudafrica pacifico, multietnico e democratico. […] Raramente una persona nella storia ha fatto così tanto per infiammare i sogni della sua gente e tramutarli in azione. Quella lotta per l’uguaglianza, la dignità e la giustizia continua. Il lascito di Madiba mostra la strada”.

Il razzismo non è solo ideologico

La lotta di Mandela ci ricorda però che il razzismo non è solo una questione ideologica. Anzi, si manifesta in azioni concrete (fisiche e verbali, oggi dietro lo schermo di un computer o smartphone). Ma ci sono le nuove povertà causate dalla crisi energetica e alimentare, amplificate dalle esplosioni demografiche e dalle disuguaglianze.

Un recente studio pubblicato su Nature Sustainability è giunto alla conclusione che centinaia di milioni di persone vivono con meno di 1,9 dollari americani al giorno. Queste persone “costerebbero” appena l’1% in termini di aumento minimo delle emissioni inquinanti globali. Questa operazione non avrebbe alcun impatto sul cambiamento climatico in corso.

La ricerca mostra l’evidente disuguaglianza tra paesi ricchi e poveri, fasce della popolazione più ricche e più povere. La mappa delle emissioni globali ricalca quella della distribuzione della ricchezza. La distribuzione delle emissioni è diseguale (e bipolare, come abbiamo illustrato in questo articolo) poiché sono prodotte in modo sproporzionato da persone dei paesi più ricchi che in genere vivono stili di vita ad alta intensità di carbonio.

Anche nei Paesi ricchi e industrializzati del mondo occidentale ci sono numerose contraddizioni. Il devastante uragano Katrina ha toccato il nervo scoperto di un gigante economico come gli Stati Uniti. Dodici anni dopo il passaggio della tempesta che colpì i più poveri e le persone di etnia africana di New Orleans, anche Houston uscì devastata dal passaggio dell’uragano Harvey. In entrambi i casi, i disastri naturali hanno aggravato i problemi di quartieri già duramente provati, come quelli delle banlieue parigine e di tutte le periferie delle megalopoli opulente e consumistiche del mondo.

La guerra tra Russia e Ucraina e i “diversi” poveri

Poi c’è un fenomeno più sottile che Lunaria rileva nell’ultimo rapporto: la guerra tra poveri fa distinzione tra “discriminati di serie A” e “discriminati di serie B”. Da alcuni giorni, l’Associazione ha messo a nudo le contraddizioni emerse da quando è esploso il conflitto in Ucraina. Lunaria osserva: “Prendono ossigeno i peggiori nazionalismi. Nascono distinzioni che sfociano in nuove forme di discriminazione”.

L’ultimo dossier dell’Associazione denuncia una tendenza alla polarizzazione che da molto tempo (ben prima della diffusione del Covid19 e dell’aggressione russa all’Ucraina) si impone come un paradigma strutturale e patologico del discorso pubblico (discorsi d’odio, hate speech).

“Non è nostra intenzione – chiarisce Lunaria – assecondare una logica binaria che contrappone i diritti dei profughi ucraini a quelli dei profughi, dei richiedenti asilo e dei rifugiati provenienti da altre aree del mondo.

D’altra parte, è indubbio e incontestabile il trattamento diverso che le istituzioni dell’Unione europea e nazionali hanno riservato ai profughi ucraini rispetto ai profughi provenienti da altre aree di conflitto. Raccontarlo ci sembra non solo giusto, ma eticamente indispensabile”.

La trappola dei “profughi veri” e “profughi falsi”

“L’attenzione mediatica dedicata alla guerra in Ucraina è eccezionale – osserva Lunaria – Non accade lo stesso con i conflitti che affliggono molti altri paesi del mondo. E nel racconto di questa guerra affiorano pregiudizi e stereotipi che strutturano un radicato eurocentrismo bianco.

La solidarietà unanime del mondo politico con i profughi ucraini lascia trapelare furbe e opportunistiche distinzioni tra “profughi veri” e “profughi falsi”.

È difficile spiegare a uno studente nigeriano in fuga dall’Ucraina perché è stato fatto scendere da un treno diretto in Polonia. È difficile spiegare a un profugo siriano o a una donna afghana perché la loro tragica sofferenza non incontra la stessa attenzione di quella, terribile e ingiustificabile, cui sono sottoposti i milioni di donne e bambini ucraini che stanno per fortuna incontrando un’accoglienza mai vista prima in molti paesi dell’Occidente. È impossibile spiegare a un richiedente asilo sudanese perché per lui e per i suoi concittadini non è possibile raggiungere l’Europa senza rischiare la propria vita nel deserto e nei viaggi della morte nel nostro Mar Mediterraneo.

Così come è complicato distinguere i volontari delle Ong impegnate nelle missioni Sar nel Mediterraneo, stigmatizzati con disprezzo come “taxi del mare” da quei volontari polacchi che, in soccorso ai profughi ucraini, sono invece definiti “taxi della speranza”.

Per aver osato nel 2016 comprare dei biglietti di autobus da Roma a Ventimiglia per nove migranti provenienti dal Sudan e dal Ciad (sgomberati in modo violento pochi giorni prima da uno dei numerosi sgomberi subiti dall’associazione) tre volontari dell’associazione Baobab Experience di Roma sono accusati invece di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

“Queste scelte e questi trattamenti differenziati e selettivi, che sembrano subordinare la garanzia dei diritti umani fondamentali e del diritto di asilo alle logiche di potere e agli interessi economici e geopolitici, restano per noi incomprensibili”, conclude, amareggiata, Lunaria.