Il prezzo di una tonnellata di grano duro nazionale convenzionale ha raggiunto la quotazione di quello biologico. Il professor Dinelli, Università di Bologna: “Azzerata la differenza media del 30%. Serve più programmazione”
Tra crisi ucraina e speculazioni legati al conflitto, la quotazione del grano duro convenzionale ha raggiunto quella del biologico. Il bollettino del 22 aprile della Borsa merci di Bologna per il duro di qualità con proteina al 13% segnava 523 euro alla tonnellata e quello del duro biologico 530 euro.
“I prezzi sono aumentati per effetto della guerra in Ucraina ma il convenzionale è cresciuto molto di più del biologico”, spiega il professor Giovanni Dinelli, ordinario di Agronomia generale all’Università di Bologna. “Mediamente – aggiunge – la differenza tra le due tipologie di grano negli ultimi anni si attestava tra il 30 e il 40%. Tra gli effetti paradossali di questa crisi c’è il raggiungimento di questa parità nelle quotazioni. Ovviamente tanto il convenzionale che il biologico negli ultimi mesi hanno subito dei vistosi rincari ma il primo è più che raddoppiato: a gennaio quotava 250 euro alla tonnellata e a fine maggio rischia di superare abbondantemente i 600 euro“.
Il grano tenero in mano agli intermediari e sul duro…
Come si è arrivati a questa situazione? L’Ucraina è – insieme alla Russia – il più grande granaio alle porte della vecchia Europa oltre ad essere un’area dove si coltiva mais, girasole e leguminose in grande quantità. I venti di guerra hanno mosso gli intermediari a fare incetta di grano tenero ucraino prevedendone una riduzione dei raccolti legati al conflitto. E questo ha prodotto come effetto immediato un’impennata delle quotazioni.
Sul duro, la cui semina in Ucraina è partita in questi giorni, cosa è lecito aspettarsi? Ci aiuta il professor Dinelli: “È prevedibile una riduzione del raccolto ma non credo che ci sarà un crollo: l’area vocata all’agricoltura è quella centrale e verso la Polonia dove al momento il conflitto è meno cruento“.
Una prospettiva di calo anche se non vertigionoso la delinea anche il ministro dell’Agricoltura ucraino Solskyy Mykola che all’AdnKronos ha spiegato: “Attualmente stimiamo che la semina diminuirà del 20-30% rispetto all’anno scorso. Di conseguenza, questo porterà ad una qualità più bassa della semina e a una diminuzione della resa per ettaro”. Quanti campi – ha chiesto l’agenzia – resteranno inseminati nel paese? “Stando ai dati preliminari all’incirca 20-30% della superficie dei terreni seminabili. La cifra precisa la potremo dire a fine maggio che sarà terminata la campagna di semina”.
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“Bisogna programmare la produzione e gli stoccaggi”
Sulla pasta continueranno a incombere i rischi di altri aumenti? “Dipende molto dal Canada – conclude il professor Dinelli – se riuscirà a lasciarsi alle spalle la catastrofica annata del 2021 e il raccolto di quest’anno tornerà su livelli alti, il calo ucraino potrebbe essere compensato. Altrimenti, continueranno ad esserci tensioni. Tuttavia il nostro paese, proprio per non trovarsi da qui al futuro a gestire crisi di approvvigionamento, deve saper esprimere una politica di programmazione produttiva e degli stoccaggi”.