De Cecco, da dove viene il grano? Il Gip di Chieti impone l’accusa di frode in commercio

DECECCO GRANO FRODE

Il Gip del Tribunale di Chieti, Luca De Ninis, ha disposto l’imputazione coatta per frode in commercio nei confronti di Filippo Antonio De Cecco, presidente dell’omonimo gruppo, del direttore degli acquisti, Mario Aruffo, e dell’allora direttore del controllo qualità, Vincenzo Villani. Il sostituto procuratore della Repubblica di Chieti, Giuseppe Falasca, aveva chiesto l’archiviazione contro la quale si era opposta AssoConsum, assistita dall’avvocato Miriam Chianese. Ora, quindi, il procedimento va avanti.

L’inchiesta era partita dalla denuncia di un ex dirigente della stessa De Cecco e ha riguardato una serie di anomalie: una partita di circa 4.500 tonnellate di grano di provenienza francese che sarebbe stato classificato da De Cecco come pugliese, l’uso di semole acquistate da fornitori esterni all’azienda e l’impiego di grani del North Dakota. Tutte circostanze relative alla provenienza della materia prima che sarebbero in contrasto con quanto concordato dalla De Cecco con l’Antitrust nell’autunno del 2019.

Siamo sereni e fiduciosi nella magistratura“, è la replica dell’azienda in una nota “Su questa vicenda – proseguono da Fara San Martino – c’è già stata una richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, a dimostrazione del fatto che ci siamo sempre comportati correttamente tutelando l’alta qualità del nostro prodotto e rispettando la dovuta trasparenza nei confronti dei consumatori. Utilizziamo i grani e le tecniche migliori per fare del nostro prodotto una eccellenza. Siamo certi che questa questione sarà presto risolta anche nel merito”

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Spiega al Salvagente l’avvocato Chianese: “Se non ci fosse stata la nostra opposizione oggi l’inchiesta sarebbe archiviata. Il Gip non solo contesta le conclusioni del pm ma ha disposto direttamente l’imputazione per frode in commercio in relazione all’ingannevolezza delle informazioni riportate sul frontespizio delle confezioni, ma ha anche disposito indagini suppletive per accertare l’uso del grano del North Dakota, la verifca del sistema di catalogazione interna dei grani impiegati e per l’accertamento di acquisti di semola. AssoConsum al processo si costituirà parte civile”.

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Gli impegni con l’Antitrust

E allora la domanda che ci si deve porgere, come abbiamo fatto nel nuovo numero in edicola del Salvagente, è la seguente: da dove viene il grano che usano Fara San Martino per fare la pasta? È facile confondersi visto che negli ultimi due anni, un po’ perché costretti dall’Antitrust un po’ per scelta aziendale, la De Cecco ha cambiato più volte le informazioni sull’origine della materia prima riportate sul frontespizio delle confezioni. Quella obbligatoria per legge – sul retro dei pacchi – è rimasta sempre la stessa (Paese di coltivazione grano: Ue e Non Ue) ma le indicazioni che a colpo d’occhio riceve il consumatore prendendo in mano un pacco di spaghetti o di penne sono state modificate ben tre volte.
Partiamo dall’aprile del 2019 quando, insieme ad altri marchi, il packaging De Cecco finì nel mirino dell’Antitrust che aprì una un procedimento per pratica commerciale scorretta: “Le modalità di presentazione della pasta di semola di grano duro a marchio ‘De Cecco’ attraverso l’etichetta in cui sono presenti richiami all’italianità del prodotto” sono “suscettibili di ingenerare nei consumatori l’equivoco che l’intera filiera produttiva della pasta, a partire dalla materia prima, sia italiana, mentre per la relativa produzione viene utilizzato anche grano di origine estera”. L’Authority contestava il richiamo sul front pack, il frontespizio, il richiamo al “Metodo De Cecco – Secondo la ricetta di oltre 130 anni” accostato al vanto “Made in Italy” corredato dalla bandierina tricolore. Sul retro però, prosegue Antitrust, “in basso con caratteri di minori dimensioni è riportata la dicitura ‘Paese di coltivazione del grano: Ue e Non Ue’”. Una comunicazione ambigua e fuorviante che rischiava di portare a una sonora sanzione per l’azienda abruzzese, tra i leader di mercato in Italia e nel mondo. Così, per chiudere il procedimento ed evitare la multa, la De Cecco il 28 ottobre 2019 presenta degli impegni all’Antitrust per modificare le informazioni sulla confezione: via tutte le indicazioni contestate e nel frontespizio viene riportata la dicitura “I migliori grani italiani, californiani e dell’Arizona”. Il 20 dicembre 2019 l’Authority accetta gli impegni dell’azienda, chiude il provvedimento e concede 4 mesi di tempo per adeguare il packaging.

Da Parigi a Bari il passo è breve

Nei mesi della “trattativa” con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato a Fara San Martino però sembrano interessati anche ad altri grani la cui origine non figurerà nell’accordo che siglerà con l’Antitrust e che non verrà mai indicata ai consumatori. Mentre ancora è caldo l’impegno presentato con il Garante, De Cecco acquista dalla Cavac – fornitore d’Oltralpe di frumento – grano francese per 4.575 tonnellate: il contratto è stipulato nel novembre 2019, si perfeziona a fine gennaio 2020 e giunge nel porto di Ortona il 13 febbraio. Il 10 febbraio però, secondo le mail finite in mano agli inquirenti e che il Salvagente ha avuto modo di leggere, l’origine di quel frumento cambia come per magia. Il direttore acquisti informa i responsabili interni della decisione del presidente del gruppo Filippo Antonio De Cecco: “Il Presidente comunica che il grano francese in arrivo a Ortona il 13 febbraio deve essere considerato grano pugliese”. La trasparenza verso i consumatori, vero obiettivo dell’impegno assunto con l’Antitrust, nei giorni in cui vengono immesse sul mercato le prime nuove confezioni, di colpo sembra essere spazzata via.
Per la vicenda del grano francese “naturalizzato” pugliese i vertici del gruppo dovranno affrontare l’accusa di frode in commercio, come deciso dal Gip del Tribunale di Chieti.

Glutine e pesticidi: sul grano francese qualcosa non torna

Torniamo però per un attimo sul grano francese: ci sono due aspetti legati alla qualità della partita acquistata da non sottovalutare. La pasta De Cecco è certificata dalla società Dnv Gl per un indice di glutine uguale o superiore a 70. La materia prima acquistata dalla Cavac risulta invece avere un indice del 57,40 ed è dunque fuori dallo standard aziendale. È stato usato in miscela con altri grani per “rafforzare” il glutine e se sì, fino a quando? Anche dopo i famosi quattro mesi concessi da Antitrust? Il sospetto è forte anche se non ci sono risposte in merito.
A preoccupare però non c’è solo il contenuto di glutine. Sempre sulla base di mail interne visionate dal Salvagente, risulta che la partita acquistata dalla Cavac è priva dell’analisi multiresiduale: il certificato allegato all’acquisto del grano francese per i pesticidi riporta in buona parte i limiti di legge ma non i valori rilevati. Perché? Un’altra domanda senza risposta.

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La semola degli altri

Le anomalie sull’origine della materia prima non sono finite. Dai documenti aziendali, come in quello per l’emissione di un bond per il periodo 2018-2024, si specifica che “il Gruppo acquista circa il 60%/70% del grano all’estero, secondo due modalità: il 70% attraverso contratti di filiera; per il restante 30% circa, acquista grano australiano”. Una provenienza che non ritroveremo mai sulle confezioni. Come il frumento North Dakota che, secondo i risultati di indagine, viene usato quale componente di una miscela produttiva, denominata “Mix B”, non trova mai la ribalta sul frontespizio dei pacchi di pasta. Troppi indizi lasciano pensare che l’accordo Antitrust possa non essere stato rispettato. Così il 6 aprile 2021 AssoConsum fa una segnalazione all’Antitrust ipotizzando una violazione dell’accordo preso per garantire un’informazione completa e trasparente nei confronti del consumatore. Scrive l’associazione, riferendosi all’inchiesta di Chieti: “Dagli atti di indagine è emerso chiaramente che la De Cecco non utilizza soltanto i grani indicati nella dicitura posta a fronte della confezione ma è stato inequivocabilmente accertato che i grani utilizzati per la produzione della pasta provengano in sostanza da tutti i paesi del mondo”.
Forse per correre ai ripari, a fine estate scorsa l’azienda di Fara San Martino cambia per la terza volta in due anni le informazioni front pack: oggi campeggia sul frontespizio “I migliori grani italiani e del resto del mondo”. Una soluzione salomonica che mette al riparo tutti, un po’ meno il consumatore. La domanda però sorge spontanea: perché vista la variabilità degli approvvigionamenti continuare a indicare sul frontespizio informazioni così generiche? Forse per lasciare una “traccia” di italianità?
Tuttavia non c’è solo il grano ad aver insospettito gli inquirenti. C’è un altro aspetto che emerge dalle indagini affidate dalla Procura di Chieti ai Carabinieri del Nas: l’acquisto di semola da società esterne. Una circostanza strana visto che nel “Metodo De Cecco” pubblicizzato dall’azienda è ammessa solo “Semola a grana ‘grossa’. Il grano è macinato nel mulino adiacente al pastificio e permette di utilizzare semola fresca appena macinata”. Come si concilia questo standard con gli acquisti di semola dai fornitori Candeal Commercio Srl e Loiudice effettuati nel corso del 2018? La semola prodotta in casa ha delle caratteristiche specifiche e viene certificata dalla Dnv Gl: quella fornita da esterni rispetta quegli standard?

Le risposte di De Cecco

L’ordinanza del Gip del Tribunale di Chieti è stata resa nota dopo che avevamo chiuso in tipografia (il 21 gennaio 2022) il numero del Salvagente in edicola. E prima di andare in stampa ovviamente abbiamo rivolto alla De Cecco alcune domande sulle vicende emerse, cominciando dal chiedere come e perché è cambiato l’approvvigionamento del grano. “Da sempre – rispondono dall’azienda – scegliamo i migliori grani dell’Italia e del mondo per garantire al consumatore una pasta di qualità superiore. Abbiamo costantemente adeguato il pack per una sempre maggiore trasparenza verso il consumatore”.
Come si concilia la vicenda del grano “francese” con gli impegni presi con Antitrust? “La vicenda afferente l’Agcm – proseguono da Fara San Martino – non aveva ad oggetto i profili relativi al luogo di produzione, bensì gli aspetti inerenti il messaggio commerciale veicolato sulle confezioni di pasta. Occorre, infatti, distinguere gli obblighi di legge (anche provenienti da direttive europee), che impongono alle aziende produttrici di indicare il paese e/o l’area geografica da cui proviene la materia prima (segnatamente grano), dai profili comunicativi, connessi alle caratteristiche merceologiche del prodotto espresse in forma di messaggi. Pertanto, in relazione all’acquisto di una modesta quantità di grano francese, la società De Cecco non solo è perfettamente in regola con la disciplina italiana ed europea – avendo ottemperato puntualmente ai relativi obblighi, come risulta dalle confezioni via via utilizzate – ma, addirittura, ha fatto tesoro delle indicazioni fornite dalla Agcm modificando il ‘wording’ (dicitura, ndr) descrittivo del prodotto presente sul fronte del pacchetto che è, dunque, perfettamente conforme anche alla disciplina in materia di tutela dei consumatori sotto il profilo dell’informazione”.
Perché nonostante il “Metodo De Cecco” non lo preveda acquistate semola da fornitori esterni? “In casi del tutto eccezionali abbiamo fatto ricorso a semole macinate, per fare fronte a situazioni di emergenza dovute a improvvise ferme del nostro molino. Il quantitativo di semola acquistata per il 2020 è di appena 735 tonnellate su 200.000 tonnellate di semola prodotta nei nostri molini. Anche nel reperire le semole abbiamo selezionato le migliori che il mercato offre, grazie a scrupolose analisi e attente ricerche della materia prima, che potessero garantirci una pasta di qualità superiore”.