A volte non basta mettere gli ingredienti giusti sulla carta per ottenere un prodotto perfetto. Succede con il nuovo spot del Parmigiano reggiano, diretto da un regista popolare come Paolo Genovese (ha realizzato tra gli altri, “Perfetti sconosciuti”) e un attore ormai affermato come Stefano Fresi, per non parlare della bontà e della fama mondiale del formaggio in questione. Invece, lo spot fa uno scivolone che ha comprensibilmente fatto arrabbiare molti lavoratori. Durante una visita dello stabilimento, nello spot, un gruppo di giovani benestanti si fermano a parlare con “Renatino”, un lavoratore che viene presentato dal cicerone del tour come uno che lavora “365 giorni l’anno”. Di fronte a un’affermazione che nella vita reale farebbe correre qualcuno dei presenti a chiamare un ispettore del lavoro, i giovani visitatori si complimentano e gli dicono se è felice di lavorare senza pausa per produrre il parmigiano reggiano. E lui risponde, poco credibilimente, di sì. La polemica prende quota sui social, portata all’attenzione dei media dallo scrittore, saggista e politico Christian Raimo. L’azienda si difende respingendo le accuse, ma è davvero difficile negare l’infelicità del messaggio sul piano dei diritti dei lavoratori che ne viene fuori.
Fai Cisl: cosa serve al di là delle polemiche
Secondo il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota, “Più che di polemiche gli italiani hanno bisogno di lavoro stabile e ben contrattualizzato. Per noi, lavorare 365 giorni l’anno vuol dire essere assunti a tempo indeterminato e con tanto di ferie, ex festività, rol, e tutte le tutele previste dai contratti di primo e di secondo livello: siamo dalla parte di Renatino, il casaro protagonista dello spot del Parmigiano Reggiano”. “Non entriamo nel merito della campagna pubblicitaria dell’azienda, se sia o no un boomerang”, afferma il sindacalista, “vogliamo pensare che lo spot, parlando di 365 giorni l’anno di lavoro, intenda sottolineare la dedizione con cui le lavoratrici e i lavoratori del settore garantiscono ogni giorno il cibo sulle tavole degli italiani, come hanno continuato a fare anche in piena pandemia. Ma certamente vanno evitati messaggi ambigui che alludono allo sfruttamento di qualsiasi tipo. Molti casari solitamente lavorano con il contratto delle cooperative di trasformazione alimentare, e come Fai-Cisl siamo sempre intervenuti nei casi di anomalie segnalate ai nostri delegati e operatori. É un settore che produce ricchezza e lavoro, non merita polemiche inutili”.