Abiti, per fermare il greenwashing serve una nuova etichetta

GREENWASHING

Si chiama Make the label count (Facciamo in modo che le etichette contino davvero) la campagna lanciata da una coalizione internazionale di organizzazioni e associazioni per chiedere alla Commissione europea di garantire sull’abbigliamento etichette di sostenibilità trasparenti, complete e accurate.

L’agenda europea Green Deal si sta muovendo verso prodotti efficienti da un punto di vista energetico. Ma non solo. Obiettivo dell’agenda è anche quello di avere un mercato fatto di prodotti più durevoli, riutilizzabili, riparabili e riciclabili. “Questa transizione è particolarmente importante per l’industria della moda e del tessile a causa della sua significativa impronta ambientale”, si legge nell’appello di Make the Label Count. Per consentire ai consumatori di attuare decisioni di acquisto più ecologiche, la Commissione europea sta proponendo ai consumatori un sistema obbligatorio di etichettatura per l’abbigliamento e le calzature.

Per raggiungere questo scopo, però, il metodo della Commissione europea per valutare l’impatto ambientale dell’abbigliamento (Product Environmental Footprint) è – a giudizio della coalizione – incompleto perché incentrato solo sull’impronta ambientale. “La Commissione europea ha avviato la Pef nel 2013. Da allora, abbiamo visto importanti miglioramenti nella ricerca e nella conoscenza degli impatti ambientali dell’industria tessile, che però non sono inclusi nella metodologia attuale – spiega Dalena White, co-portavoce di Make the Label Count e segretario generale dell’International Wool Textile Organisation (Iwto) –. Se la Commissione procede a imporre l’etichettatura senza affrontare queste limitazioni, l’industria della moda e del tessile non raggiungerà la transizione verde che l’Unione europea vuole vedere”.

“Vogliamo che i consumatori abbiano piena visibilità della sostenibilità di un prodotto e, nella sua forma attuale, la Pef non lo fa. Abbiamo bisogno di informazioni affidabili sul fatto che i vestiti siano realizzati con materiali rinnovabili e biodegradabili, se siano riutilizzabili e riciclabili e se gettino microplastiche nei nostri ecosistemi che inquinano le catene alimentari – aggiunge Dalena White –. Solo allora potremo ottenere un’etichetta di sostenibilità per l’abbigliamento che fornisca ai consumatori informazioni credibili che diano sostanza alle affermazioni ecologiche impedendo il greenwashing”.

La coalizione Make the Label Count chiede alla Commissione europea di adottare una metodologia che rifletta gli obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare e degli obiettivi del Green Deal. La coalizione sta avanzando un approccio incentrato sulla risoluzione degli obiettivi con i suoi esperti tecnici desiderosi di lavorare con i responsabili politici dell’Unione su soluzioni che portino al superamento dei limiti della Pef. Come ha spiegato Livia Firth, co-portavoce di Make the Label Count e creative director di Eco-Age: “Per anni abbiamo spinto per una migliore etichettatura sugli articoli di moda. La nostra industria ha un impatto inaccettabile sul nostro pianeta e i consumatori non vogliono esserne complici.Siamo pronti a contribuire allo sviluppo di un’etichetta chiara e credibile che rifletta la scienza più recente sul campo per responsabilizzare milioni di consumatori europei e non solo. Quando le persone fanno scelte informate, fanno scelte migliori – conclude Livia Firth –. Questo a sua volta incoraggerà i marchi a realizzare prodotti con il minor impatto ambientale possibile”.

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