“Nonostante i valori allarmanti, dal 2017 la Regione Veneto non ha effettuato ulteriori monitoraggi né intrapreso azioni risolutive per azzerare l’inquinamento e ridurre, almeno progressivamente, la contaminazione delle acque non destinate all’uso potabile”. Sono durissime le parole delle Mamme No pfas e di Greenpeace, che insieme diffondono i risultati dei monitoraggi fatti dalla Regione Veneto sulla presenza di sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti di origine vegetale e animale coltivati in zona rossa, l’area del Veneto più contaminata da queste sostanze chimiche pericolose. Si tratta di dati collegati ai luoghi di prelievo dei campioni e mai diffusi in forma integrale dalle autorità competenti, ottenuti dalle Mamme No Pfas e da Greenpeace dopo una lunga battaglia legale nei confronti della Regione, che per anni ha negato l’accesso ai dati rilevati nel 2016-2017.
La pesante accusa contro la regione Veneto
Dalle elaborazioni emergono molte criticità: numerosi alimenti risultano infatti contaminati non solo per la presenza di Pfoa e Pfos, quelli riconosciuti come più pericolosi, ma anche per tanti altri composti di più recente applicazione industriale. Le due associazioni sono molto dure nei confronti delle responsabilità delle autorità: “Per quanto è noto, risulta che la Regione ha finora ignorato il rischio per l’intera comunità nazionale e non solo, visto che alcuni di questi alimenti potrebbero essere venduti anche all’estero. Si tratta di mancanze intollerabili: chi è responsabile della salute pubblica ha il dovere di fare tutto il possibile per affrontare concretamente un problema sanitario così rilevante”.
Dal 2020 l’Efsa ha ridotto di quattro volte le soglie, eppure…
Nonostante nel 2020 l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) abbia ridotto di più di quattro volte il limite massimo tollerabile di Pfas che possono essere assunti attraverso la dieta, “la Regione – scrivono le associazioni – non ha effettuato nuove valutazioni né messo in atto azioni concrete per tutelare la popolazione e le filiere agroalimentari e zootecniche”. A ciò si aggiungono alcuni limiti sul monitoraggio dell’area geografica monitorata, che non include la zona arancione e altre aree toccate dalla contaminazione, nonché l’insufficienza di analisi su importanti produzioni diffuse nelle zone interessate: spinaci e radicchio (un solo campionamento effettuato), kiwi, meloni, angurie, cereali (è stato analizzato solo un campione di farro), soia e mele. Secondo la relazione finale sulla “Valutazione dell’esposizione alimentare e caratterizzazione del rischio” redatta dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2019, sono state effettuate analisi su 1.248 alimenti, 614 di origine vegetale e 634 di origine
animale.
Come devono comportarsi i cittadini?
“Non ci risulta siano state adottate misure di precauzione in seguito ai risultati delle analisi (con l’esclusione del divieto di consumo del pescato) – scrivono Greenpeace e Mamme No Pfas – nemmeno indicazioni ai cittadini per tutte quelle matrici autoprodotte che mostrano i livelli più elevati di contaminazione (ad esempio uova, etc). Per valutazioni future riteniamo che l’applicazione del parere di Efsa non sia cautelativo: non si può considerare sicuro questo parametro per quella che è attualmente nota come la popolazione più esposta a livello mondiale ai Pfas”. Per le associazioni, non si possono considerare gli stessi livelli di rischio per persone con un’esposizione “di fondo” e quelle con elevati livelli di tali contaminanti già accertati nel sangue e probabilmente anche nei tessuti. “I residenti nell’area rossa e arancione dovrebbero essere trattati con particolare attenzione per evitare ogni possibile ulteriore assunzione di Pfas” aggiungono.
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“Serve un nuovo monitoraggio urgente”
Greenpeace e le Mamme No Pfas chiedono alla Regione Veneto di avviare al più presto un nuovo monitoraggio sugli alimenti prodotti in area rossa e arancione e, partendo dai dati del 2017, di adottare misure urgenti per ridurre i rischi per la salute delle persone. Infine, considerando che la valutazione degli effetti sanitari dei valori di contaminazione diffusi oggi è molto complessa, Greenpeace e Mamme No Pfas fanno un appello alla comunità scientifica affinché analizzi l’intero set di dati, che può essere richiesto a Greenpeace e a Mamme No Pfas per condurre un’analisi approfondita sui possibili rischi per la salute. “Dalle informazioni fornite dalla Regione Veneto lo scorso maggio, – scrivono le associazioni – sarebbe al momento in fase di programmazione un nuovo campionamento con successive indagini analitiche, nonostante già nel 2019, cioè due anni fa, una deliberazione della Giunta Regionale indicasse di procedere con nuove indagini. Si tratterebbe, quindi, di un nuovo e ulteriore incomprensibile ritardo. Da più di quattro anni, quindi, non è stata fatta nessuna ulteriore analisi sugli alimenti”. L’inerzia istituzionale dimostrata dalla Regione stride con quanto stanno facendo altri enti pubblici; l’Europa, ad esempio, introdurrà presto il divieto per
più di 200 Pfas.
La resistenza della Regione a diffondere i dati completi
Dopo un accesso agli atti (14 luglio 2020) respinto dalla Regione Veneto, l’accoglimento del ricorso al Garante per la Difesa dei Diritti della persona e Difesa civica
della Regione (28 settembre 2020) è seguito un nuovo diniego regionale e infine
la sentenza del TAR del Veneto, (8 aprile 2021) che ha definitivamente accertato
l’illegittimità del comportamento regionale. Eppure, gli esiti dei monitoraggi, mai
pubblicati in forma integrale dalle autorità, vengono resi noti per garantire trasparenza e accessibilità alle informazioni. A maggior ragione in quei casi in cui sono
coinvolte comunità e migliaia di persone gravemente colpite da decenni di inquinamento.
Ricordando che i dati geografici sono relativi a prelievi effettuati almeno cinque anni fa, invitiamo a tenere in considerazione che la situazione potrebbe essere diversa oggi.
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