Allerta rossa. Ecco come la carne processata minaccia la nostra salute

CARNE SALUTE

Il consumo di carne rossa trasformata aumenta il rischio di contrarre malattie cardiovascolari del 18%. Da uno studio condotto dall’Università di Oxford e pubblicato su Critical review in Food Science and Nutrition emerge un nuovo legame tra alimenti come pancetta, prosciutto, salsicce, hamburger e l’insorgenza di patologie anche gravi. Stavolta è stato rilevato un aumento del rischio coronarico mentre un precedente studio, condotto dallo stesso gruppo di ricerca, aveva indicato che anche l’assunzione moderata di carne rossa lavorata è associata aumenta le possibilità di sviluppare il cancro intestinale. Non una novità. La stessa Iarc, l’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, nel 2015, aveva inserito la carne rossa processata nella classe 1, tra i cancerogeni certi per l’uomo e quella rossa non trasformata tra i “probabili cancerogeni”.

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Il nuovo studio, di cui nel nuovo numero in edicola proponiamo un ampio approfondimento, è stato condotto dal Dipartimento di salute pubblica della prestigiosa università britannica ed è stato presentato come “la più grande revisione sistematica delle prove prospettiche pubblicata fino ad oggi” ed ha preso in esame tredici studi di coorte che hanno coinvolto oltre 1,4 milioni di persone. Tutti i partecipanti, cittadini europei e statunitensi, hanno completato valutazioni dietetiche dettagliate e la loro salute è stata monitorata per un massimo di 30 anni.
I risultati? Decisamente forti: consumando 50 grammi al giorno di insaccati, hamburger, würstel e cibi affini si è osservato un incremento del 18% delle patologie cardiovascolari.
Che impatto hanno invece le altre carni sulla salute dei consumatori? L’assunzione giornaliera di 50 grammi di carne rossa non trasformata, come le fettine di manzo, le braciole di maiale o le costolette di agnello, ha fatto rilevare un aumento del 9% delle malattie coronariche. Nessun legame invece tra il consumo di carne bianca tal quale – come pollo o tacchino – e la presenza di disturbi dell’apparato cardiocircolatorio.

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Grassi saturi e sale sotto accusa

I ricercatori di Oxford ipotizzano che questi risultati siano legati all’alto contenuto di grassi saturi nella carne rossa e di sale nella carne lavorata. “Elevate assunzioni di grassi saturi – scrivono – aumentano i livelli di colesterolo dannoso (Ldl), mentre il consumo eccessivo di sale aumenta la pressione sanguigna. Sia il colesterolo Ldl che l’ipertensione sono fattori di rischio consolidati per la malattia coronarica”. La dottoressa Keren Papier, co-autrice dello studio, ha spiegato: “La carne rossa e lavorata è stata costantemente collegata al cancro dell’intestino come mostrano i nostri precedenti studi e ora i nuovi risultati suggeriscono un ruolo aggiuntivo nelle malattie cardiache. Pertanto, le attuali raccomandazioni per limitare il consumo di carne rossa e lavorata possono anche aiutare nella prevenzione della malattia coronarica” che colpisce circa il 10% della popolazione adulta. Eppure questa incidenza potrebbe essere facilmente ridotta se “venisse tagliato del 75% il ​​consumo di carne rossa non trasformata, ad esempio passando da quattro volte a una volta a settimana” se non ancora più drasticamente, facendo scomparire questi cibi dal menu giornaliero.
Oltre a rappresentare una minaccia alla propria salute, la carne rossa non trasformata, al pari dello zucchero per l’obesità e il diabete, rappresenta un “peso” anche per la sanità pubblica e le spese ospedaliere connesse. Per questo motivo i ricercatori e medici dell’Università di Oxford hanno pubblicamente dichiarato di sostenere l’introduzione di una vera e propria meat tax che al pari della sugar tax sfavorisca il consumo della carne rossa e sostenga gli investimenti statali nelle cure sanitarie.

“Serve una tassa ad hoc”

Le malattie legate al consumo di carni rosse, sosteneva uno studio pubblicato nel 2018 sulla rivista scientifica Public Library of Science One, costano alle casse pubbliche 285 miliardi di dollari all’anno nel mondo.
“Un’imposta del 20% sulla carne non lavorata (come le bistecche) e del 10% su quella lavorata (come gli insaccati, le salsicce e la pancetta) – si leggeva nello studio – genererebbe a livello mondiale un gettito di 170 miliardi di dollari, utilizzabili per sostenere le cure sempre più elevate legate al consumo eccessivo di questi cibi”. Nello stesso tempo la meat tax potrebbe scoraggiare il consumo e ridurre di 220mila i decessi all’anno. Secondo i ricercatori, se il consumo medio di carne fosse ridotto di due porzioni alla settimana – attualmente nei paesi ricchi la media è di una porzione al giorno – si potrebbero almeno dimezzare le morti legate a questi stili alimentari. Un traguardo sicuramente non impossibile da raggiungere.

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