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Il nostro test di copertina che indica la presenza di Pfas nei piatti e nelle stoviglie compostabili continua ad agitare le acque del settore. E non solo quelle delle mense scolastiche, dove i genitori ovviamente preoccupati chiedono risposte e controlli sulle stoviglie usa e getta che vengono servite ai propri figli. Più in generale, anche al di là degli effetti sulla salute che può avere la presenza di una famiglia di sostanze sospetta di cancerogenicità e di interferenza endocrina, ci si chiede se un prodotto nato per aiutare l’ambiente non finisca per avere effetti opposti, riversando i Pfas nei fertilizzanti che si ottengono proprio dal compost e di quì nei campi italiani.
Il Salvagente dopo aver raccolto l’opinione di alcuni produttori (come Novamont, che produce il Mater-Bi) ha voluto coinvolgere proprio chi si occupa del compostaggio come, il Consorzio italiano compostatori Cic, chiedendo se siano preoccupati dalle ipotesi di presenza di Pfas in queste stoviglie che finiscono nel materiale che utilzzano.
E ancora come già avevamo rivelato, il Consorzio inizia con il fare differenza tra i compostabili certificati e quelli che non hanno controlli indipendenti: “Se per prodotti “Compostabili” si intendono stoviglie certificate da un ente di Certificazione e ai sensi della EN13432, tali manufatti è previsto che vengano sottoposti anche a specifiche analisi riguardanti il contenuto di fluoro nei prodotti da certificare. Tali analisi è previsto vengano effettuate a monte, dato che il rischio sanitario esiste eventualmente nella fase alimentare del consumo di tali prodotti, ovvero quando le stoviglie vengono a contatto diretto con gli alimenti.
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In Europa questo obbligo esiste dal 2000 (in Italia dal 2002): il limite massimo per il fluoro (F) di 100ppm vale per i prodotti da certificare biodegradabili e compostabili .
Voi potreste porre dei limiti d’ingresso nei vostri siti, per far sì che solo i prodotti compostabili senza Pfas vengano compostati?
A oggi, solo l’1% della frazione umida compostata proviene da manufatti compostabili e di questo 1% solo un ulteriore 1% è costituito da stoviglie. Nel complesso quindi solo lo 0,01% di tutta la raccolta differenziata in Italia è costituito da stoviglie compostabili
Una volta all’interno dei rifiuti organici qualsiasi manufatto è difficilmente individuabile; proprio a livello tecnico e tecnologico non è possibile separare un bicchiere in carta/bioplastica tra 100 kg di rifiuto organico. Il problema deve essere risolto a monte, prima che il manufatto sia immesso sul mercato.
È per questo che il divieto introdotto in altri Stati per alcuni manufatti usa-e-getta contenenti Pfas è finalizzato ad evitare la presenza di queste sostanze negli alimenti che entrano nella catena alimentare. È quella la direzione da approfondire, ma proporre limiti specifici o moratorie compete ad altri soggetti a tutela della salute pubblica.
Avete la possibilità di fare analisi a campione all’ingresso dei vostri siti?
Il CIC esegue oltre 1100 analisi merceologiche sulla composizione dei rifiuti organici in ingresso agli impianti, finalizzate a individuare la quota di materiali non compostabili al fine di ridurre la presenza di materiali solidi non-compostabili all’interno della filiera.
Il consorzio esegue inoltre le analisi sui contenuti di numerosi altri elementi (metalli pesanti, analisi microbiologiche, ecc.) nel compost, come previsto dalla normativa nazionale sui fertilizzanti. I Pfas non sono previsti tra i valori da tracciare per i fertilizzanti e, come detto sopra, si dovrebbe lavorare sull’immissione nel mercato di alcuni manufatti più che ricercarli nel cosiddetto “fine vita” dove la presenza di questi manufatti resta comunque infinitesimale rispetto al complesso della raccolta dell’umido.
Quale soluzione potrebbe essere adottata dopo la denuncia del Salvagente?
Per quanto riguarda i dati evidenziati nel vostro articolo si riportano valori di fluoro in alcuni manufatti da catering decisamente maggiori di quelli previsti per manufatti certificati biodegradabili e compostabili ai sensi EN-13432; va quindi fatta una verifica lungo la filiera produttiva a monte.
In seconda battuta non possiamo che vedere favorevolmente l’inclusione di un valore limite (o un divieto) per i Pfas nei prodotti mono-uso a contatto con gli alimenti.
Ribadiamo inoltre che i rifiuti di imballaggi biodegradabili e compostabili di qualsiasi matrice (carta, bioplastica, legno, etc) NON certificati ai sensi della UNI-EN-13432 non possano essere considerati quali “candidati” per essere immessi nella raccolta differenziata dello scarto organico. Come detto tale norma prevede attualmente un controllo sui contenuti di fluoro ponendo un limite massimo chiaro ed inequivocabile.
Infine c’è un ultimo tema importante che sarebbe giusto approfondire bene e presto: bisognerebbe essere molto chiari sul tema del contenuto in fluoro e del contenuto in Pfas. Questi ultimi contengono fluoro ma non è detto che se in una sostanza, un manufatto, un materiale c’è del fluoro, automaticamente si attesti la presenza di Pfas.