Un prosciutto cotto di alta qualità: il nostro test su 16 grandi marchi

PROSCIUTTO COTTO

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Una volta c’era solo il prosciutto cotto, adesso i più esigenti possono non solo scegliere tra tre diverse categorie merceologiche – cotto, scelto e alta qualità – ma sbizzarrirsi tra quelli a ridotto contenuto di sale, senza nitriti, senza glutammato aggiunto, senza polifosfati. Inevitabile chiedersi cosa c’è di vero in tutte queste promesse. Esattamente quello che abbiamo fatto noi e per ottenere delle risposte abbiamo deciso di portare in laboratorio 16 campioni di prosciutto cotto acquistati, come sempre accade, presso la grande distribuzione e i discount. Tutti i risultati del test sul numero di aprile del Salvagente che si può acquistare da oggi anche on line.

Un buon prosciutto

Al di là della denominazione di vendita, tutti i 16 campioni hanno dimostrato di avere il requisito che per legge consentono di definire il prosciutto cotto di alta qualità. In particolare l’elemento che determina la scala di valore merceologico è il livello di umidità del prodotto, definita Upsd (Umidità sul prodotto sgrassato e deadditivato): maggiore è la quantità di acqua contenuta minore è la qualità. Nel cotto scelto, la percentuale di Upsd deve essere inferiore o uguale a 79,5, tasso che scende a 76,5 per i cotti di alta qualità. 

E questo non è certo l’unico parametro che ci ha convinto della bontà del nostro campione. Assenza di nitriti in tutti gli esami, a dimostrazione del fatto che anche tra coloro che dichiarano di farne uso, questo conservante è aggiunto in quantità esigue, per scongiurare il pericolo botulino. Niente polifosfati, da anni guardati con sospetto per la capacità di interferire con il normale processo di calcificazione ossea, e un solo campione “positivo” al glutammato.

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I due mediocri

Discorso a parte meritano le tracce di antibiotici e antinfiammatori che abbiamo trovato. I nostri lettori più affezionati sanno che da sempre abbiamo a cuore le condizioni drammatiche degli allevamenti intensivi e questo per un duplice motivo. Da un lato c’è il tema del benessere animale che non può più essere ignorato (anche il governo ha deciso – si spera – di fare la sua parte con una certificazione che garantisce il rispetto degli animali) dall’altro quello dell’uso massiccio e indiscriminato di farmaci per prevenire le malattie tipiche del sovraffollamento negli allevamenti. Per questo abbiamo usato, ancora una volta (lo abbiamo utilizzato con il latte fresco, Uht e in polvere), il metodo di analisi messo a punto dall’Università di Napoli capace di rilevare anche tracce molto basse – che sfuggono ai controlli ufficiali – di farmaci. Ed è proprio la presenza di un antibiotico in quantità molto basse a decretare uno dei due bocciati del nostro test: il campione Rovagnati -25% sale che ha ottenuto un giudizio mediocre per la presenza della colchicina, un anti gottosi vietato. L’altro mediocre è il prosciutto cotto in vendita da Eurospin a marchio La Bottega del Gusto che, seppur privo di tracce di farmaci, non ha convinto pienamente nelle altre prove del test (quantità di sale, collageni proteine, umidità e grassi).

La risposta di Rovagnati

In un’ottica di ulteriore innalzamento delle garanzie di salubrità e sicurezza di prodotto nei confronti dei nostri consumatori, in seguito alla vostra segnalazione abbiamo aggiornato il nostro piano di autocontrollo inserendo stabilmente, tra i parametri ricercati, anche quelli da voi elencati”. Rovagnati, una volta venuta a conoscenza dell’esito delle nostre analisi, pur ritenendo che non fosse necessario, ha subito attivato una procedura interna di controllo ma, a causa della sopraggiunta scadenza del prodotto, non ha potuto svolgere le medesime prove sullo stesso lotto analizzato dal nostro laboratorio. Analisi effettuate su 6 campioni di altri lotti, sia del prodotto finito che della materia prima, hanno dato esito negativo, quindi favorevole al produttore. L’azienda ha ribadito che anche le verifiche sui fornitori sono “del tutto rassicuranti circa i controlli effettuati dalle autorità sanitarie e le analisi in autocontrollo”. 

Due metodi diversi

C’è da dire, però, che il metodo di analisi usato dal laboratorio a cui si è rivolta Rovagnati non è lo stesso utilizzato dal Salvagente. Sono entrambi metodi accettati dalla comunità scientifica – su questo non ha dubbi neanche l’azienda – ma pongono diversi limiti di quantificazione e di rilevabilità.  

Il “nostro” metodo messo a punto dall’Università di Napoli, che abbiamo già messo alla prova con il latte fresco, quello Uht e le formule per l’infanzia, fissa il Loq (il limite di quantificazione, sotto il quale non si può stabilire la quantità) a 0,098 e il Lod (di rilevabilità, quello che serve a capire se una sostanza è presente, seppure in dosi non misurabili) a 0,032 ng/g: in sostanza i valori ottenuti sul prosciutto cotto “-25% di sale”, si piazzano tra i due limiti e ci hanno permesso di “vedere” una concentrazione di colchicina (certamente bassa) ma non di misurarla. Dato che si tratta di un antinfiammatorio vietato in allevamento, questo ci ha portato a penalizzare il prodotto Rovagnati con un giudizio “mediocre”.

Con il metodo di analisi usato dal laboratorio di Rovagnati seppure le prove fossero state condotte sul lotto da noi testato, queste sostanze non sarebbero state rilevate per il fatto che il limite di quantificazione del metodo utilizzato è fissato a 0,1 e il limite di rilevabilità a 0,5. Rovagnati osserva che il metodo messo a punto dall’Università di Napoli non è accreditato. È vero, ma c’è da sottolineare che il metodo di conferma è stato pubblicato dalla rivista scientifica Journal of Dairy Science con le adeguate validazioni, seppure sul latte e non sul prosciutto.

Riferendosi alle nostre analisi, Rovagnati ci fa sapere che “sono state condotte con una tecnica analitica di conferma, quale la spettrometria di massa ad alta risoluzione, perfettamente accettata dalla Dec.  (la Decisione della Commissione europea) 2002/657/CE” e aggiunge: “È accettato in sede di analisi rifarsi ai parametri tradizionali ‘limite di rilevazione”’ (Lod, ossia la più bassa concentrazione di analita che può essere rilevata ma non quantificata) e ‘limite di quantificazione’ (Loq, ossia la minima quantità misurabile con un accettabile grado di esattezza e precisione). Tali parametri dovrebbero essere non solo determinati, ma anche verificati sperimentalmente. La regione compresa tra i due limiti viene definita come ‘regione di rivelabilità’, dove la misura può soltanto confermare la presenza o meno dell’analita ma senza potere fornire un valore quantitativo affidabile”. 

I vantaggi dell’Orbitrap

Spiega il professor Alberto Ritieni dell’Università di Napoli: “Per le sue caratteristiche e i vantaggi che offre questo metodo speriamo in una sua applicazione su larga scala. Sappiamo che alcune strutture pubbliche possiedono già l’Orbitrap, noi siamo ovviamente disponibili a collaborare. Immaginate che tipo di ausilio potrebbero dare questi test in chi controlla le filiere alimentari, di qualunque tipo esse siano. O per capire da dove arrivano le tracce – tanto per restare in tema – dei farmaci veterinari che abbiamo trovato nel prosciutto.” 

Tra l’altro – aggiunge – se nel caso del latte può essere più complesso arrivare all’origine della contaminazione perché per definizione si parla di “latte di massa” ovvero latte che proviene dalla mungitura degli animali presenti in un singolo allevamento, nel caso del prosciutto che si ottiene, almeno in teoria, da un unico animale è più semplice risalire la filiera produttiva e rintracciare la materia prima sospetta. Un impegno verso i consumatori che le aziende devono rispettare come ha fatto Rovagnati pur mettendo in discussione le nostre analisi che per l’azienda “non paiono fornire le dovute garanzie”.