“Nasce da noi ma lo vogliono battezzare a Napoli. È inaccettabile!”. Colomba Mongiello, madrina della legge “Salva olio” non ha mai smesso di occuparsi di agricoltura e sicurezza alimentare. Specialmente oggi che è nella sua terra, Foggia, è scoppiata la guerra del pomodoro: l’Anicav, l’Associazione nazionale degli industriali delle conserve, vuole la denominazione del pomodoro Igp Napoli perché – sostiene il presidente Antonio Ferraioli – “l’ultima trasformazione avviene in Campania e il nome ‘Napoli’ è famoso al mondo“.
Secca la risposta di sindacati, associazioni agricole ma anche delle Regioni Puglia e Basilicata: “Il pomodoro in questione è coltivato e raccolto per l’80% tra Puglia, Basilicata e Molise e in gran parte trasformato in questi territori. Perché scipparci la denominazione?”.
Mongiello: “È un’escamotage che non regge”
L’ex deputata del Pd Colomba Mongiello che da subito ha lanciato l’allarme spiega al Salvagente: “L’escamotage del luogo di trasformazione non regge: in Puglia, in particolar modo nel foggiano, coltiviamo il 90% il pomodoro in questione (nome scientifico della specie “Lycopersicum Esculentum”) e abbiamo oltre 200 aziende di trasformazione, con realtà anche molto grandi leader del settore, mentre la Campania ne ha 57: è finito il Regno delle due Sicilie e non siamo più disposti a pagare gabelle a nessuno sul nostro prodotto”.
A far scoppiare la guerra c’è stata – diciamo – una fuga in avanti degli industriali del pomodoro (sede nazionale a Napoli) forse spalleggiati dalla Regione Campania: “Si sarebbe potuti procedere insieme – aggiunge la Mongiello – concordando l’esigenza di avere un’Indicazione geografica protetta per questo pomodoro che potesse tenere insieme con una denominazione le terre di coltivazione del Sud. E invece scopriamo che qualcuno era già partito spedito con la richiesta di disciplinare Igp Napoli: è inaccettabile!“. Lo è soprattutto per un territorio, quello della Capitanata, assurto alle cronache in questi anni per lo sfruttamento del lavoro irregolare e per il caporalato. “L’Igp, il riconoscimento di un valore aggiunto – aggiunge la Mongiello – è un segnale di riscatto per queste terre: negarlo significa vanificare tutti gli sforzi compiuti a più livelli in questi anni”.
Anicav: “L’Igp deve essere attribuita a un singolo territorio”
“Dal punto di vista formale – ha spiegato Giovanni De Angelis, direttore generale di Anicav – il riconoscimento di una Igp deve essere legato ad una sola delle fasi di ottenimento del prodotto (produzione, trasformazione o elaborazione) che deve avvenire in una specifica area geografica e in questo caso, ribadisco ancora una volta, ci riferiamo alla zona dove il pomodoro viene storicamente trasformato. È il caso di ricordare che la delimitazione geografica dell’area di trasformazione del pelato Igp, di cui discutiamo, include oltre la Regione Campania, dove viene trasformato oltre l’80% del pelato lungo, anche l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata e la stessa Puglia”.
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Sindacati e associazioni agricole: “No è campanilismo ma giustizia”
All’Anicav hanno replicato con una nota congiunta Flai Cgil, Fai Cisl, Uila Uil, Confagricoltura, Coldiretti e Cia di Foggia: “I dati parlano chiaro: oltre il 90% della produzione nazionale del pomodoro lungo è concentrato in Capitanata, la nostra terra offre questo prodotto d’eccellenza che rappresenta una ricchezza inestimabile, proprio la Campania preleva e trasporta nelle sue aziende il pomodoro di Foggia con numeri rilevanti e conferire l’Igp a Napoli sarebbe una vera ingiustizia senza senso”.
“L’Igp sul pomodoro – hanno aggiunto – non può che essere della Capitanata, non certo di Napoli. Non ci serve farci promotori di lotte di campanilismo, ma rivendicare con tutte le nostre forze, giustezza, giustizia, rigore, ovvietà: l’Indicazione geografica protetta sul pomodoro deve essere di Foggia!“.
La battaglia si è appena cominciata e se a quanto pare nella richiesta di disciplinare sono coinvolte le Regioni il loro peso sicuramente conterà, tanto che la Puglia di Emiliano ha già fatto capire bloccherà l’Igp Napoli. “O c’è condivisione oppure non lasceremo battezzare il nostro pomodoro altrove“, promette la Mongiello.