“La Ue e l’Italia possono aiutarci a fermare la devastazione dell’Amazzonia”

DEFORESTAZIONE IN AMAZZONIA

Il Brasile vive un momento particolare e poco onorevole della sua storia. E prima di entrare nel tema devo avvertire i lettori che il Brasile come nazione e come Stato è molto più di un governo passeggero e va ben oltre l’intento di quelli che oggi occupano i più alti incarichi del paese mettendo all’asta il nostro popolo in cambio di sottomissione.

Dal 2000 si lavora a un accordo tra Mercosul ed Unione europea. Sebbene sia stato firmato, l’accordo non è ancora stato ratificato, nonostante coinvolga un mercato di 750 milioni di consumatori e possa mettere in moto, secondo alcuni osservatori, 20 trilioni di dollari. Le ragioni sono diverse, ma la posizione antiambientale dell’attuale governo brasiliano è sicuramente una parte importante.

Il nostro paese ha una storia di maturazione nelle sue politiche ambientali, essendo stato più volte premiato a livello internazionale per la riduzione della deforestazione. Soprattutto durante i governi di Lula (2003-2011), il Brasile ha investito in politiche e tecnologie in grado di ridurre la deforestazione e valorizzare i popoli indigeni e tradizionali, grandi custodi dei nostri biomi. Purtroppo, dal colpo di stato parlamentare del 2016, il Brasile è in caduta libera, anche e forse soprattutto sotto l’aspetto ambientale, così costoso per tutta l’umanità.

Chi guadagna con la deforestazione dell’Amazzonia

L’agenda per lo sviluppo sostenibile è stata abbandonata. Accordi internazionali come l’accordo di Parigi, aggiunti allo smantellamento degli organismi di ispezione brasiliani, hanno gravemente danneggiato politiche e iniziative per la protezione delle foreste, come il Fundo da Amazônia e altre iniziative simili che hanno perso milioni di investimenti internazionali. Ma è necessario capire chi guadagna con queste politiche e perché un dato governo gioca contro il mondo – come abbiamo visto nell’ultima Conferenza sul clima (COP-25), in cui il Brasile è stato uno dei principali ostacoli a obiettivi internazionali più audaci sulla riduzione delle emissioni di gas serra.

Bolsonaro è un alleato del peggiore agrobusiness globale, che in Brasile prende il volto della violenza nelle campagne, della deforestazione e di un uso incontrollato di pesticidi! La coltivazione di canna da zucchero, soia, mais e carne bovina è direttamente collegata all’occupazione illegale di terreni (molti dei quali in territori indigeni o unità di conservazione), anch’essa soggetta a leggi più flessibili. Per darvi un’idea, dall’inizio del governo Bolsonaro, in Brasile sono stati autorizzati più di mille pesticidi, compresi quelli più dannosi, come il glifosato, senza dire che la maggior parte di loro sono prodotti fuori dal paese – quindi, riducendo le entrate brasiliane di circa 3 miliardi di dollari in agevolazioni fiscali. E qui, più veleno significa più disboscamento della foresta, che genera legname illegale, conflitti per la terra e avvelenamento delle persone e dell’ambiente.

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Un accordo può difendere l’ambiente?

Tutto questo avviene nel mezzo di questo tentativo di ratificare l’accordo tra i paesi sudamericani ed europei. Alcuni sostengono che la firma dell’accordo possa essere un mezzo efficace per controllare la deforestazione brasiliana. Altri ritengono che può essere pericoloso accettare l’accordo, almeno così com’è con uno Stato minacciato da un governo che nega la gravità della pandemia, accusa le ONG di incendiare l’Amazzonia, viola i diritti dei popoli indigeni, vietando il riconoscimento delle loro terre e concedendo a fazenderos illegali l’occupazione di aree di proprietà dello Stato.

Cosa sta accadendo in Brasile

I fatti dicono che nel 2019 il tasso di deforestazione in Brasile è aumentato del 30% e nel 2020 è stato almeno del 20% in più rispetto al 2019. La violenza nelle campagne cresce – 23% in più rispetto all’anno precedente – mentre Bolsonaro difende l’attività mineraria nelle terre indigene. Grazie all’estrazione illegale – che deve essere combattuta e non regolamentata – il popolo Yanomami, una delle più grandi comunità indigene delle Americhe, ha un indice di mercurio nel corpo del 500% superiore a quanto raccomandato dall’OMS. Nel Congresso brasiliano, probabilmente verranno approvate leggi che metteranno più a rischio i biomi per favorire attività economiche predatorie.

La regolamentazione delle terre pubbliche occupate illegalmente e le modifiche alla legislazione per le licenze ambientali che violano la Convenzione ILO 169 (di cui il Brasile è firmatario) stanno avanzando rapidamente. In questo senso, è essenziale che i paesi europei firmino la Convenzione 169, perché tratta direttamente con i popoli indigeni e tribali, altamente colpiti e custodi delle foreste. E i lettori debbono sapere che l’Italia non ha firmato, come la maggior parte dei paesi europei.

Cosa può fare l’Europa

Mi incontro da tempo con gli eurodeputati. Il nostro dialogo, che si è rafforzato e ampliato, includendo altri parlamentari su entrambe le sponde dell’oceano, è rivolto a trovare soluzioni perché il più grande accordo commerciale nella storia umana sia, di fatto, a favore della vita, e non solo per servire il mercato e il capitale, che deve essere al nostro servizio, e non il contrario.

Abbiamo bisogno di iniziative affinché il commercio delle merci tra l’America latina e la Ue si basi sulla sostenibilità socio-ambientale e che il Brasile non sia solo un esportatore di materie prime e manodopera a basso costo. Abbiamo bisogno di una vera cooperazione in nome dell’essere umano. È urgente aumentare le ambizioni per il rispetto dell’Accordo di Parigi e della Convenzione sulla biodiversità biologica.

Iniziative come quella dell’europarlamentare Delara Burkhardt (SPD) necessitano di essere replicate e rafforzate: la deputata ha introdotto una norma al Parlamento europeo che riguarda direttamente gli esportatori di legno, soia e carne bovina, che dovrebbero provare l’integrità dell’intera filiera produttiva, garantendo che non è il risultato di deforestazione. L’Europa consuma buona parte delle nostre esportazioni e i consumatori devono esercitare pressioni sul Parlamento, sui governi e sul mercato perché prendano atto della dura realtà che ci mostra, ogni giorno, che la natura non conosce limiti geografici.

Il Brasile ha la più grande biodiversità del pianeta e la più grande riserva di acqua dolce del mondo. Qui vivono 240 milioni di abitanti, per lo più neri e indigeni. Oggi molti di loro vengono uccisi e avvelenati in nome di un mercato nocivo. Come me, il 15% della nostra gente è di origini italiane, lavoratori coraggiosi che sono venuti in Brasile e hanno costruito una bella storia. Oggi più che mai i legami tra i nostri popoli sono necessari.

AMAZZONIANilto Tatto è deputato federale al secondo mandato e Segretario nazionale per l’ambiente e lo sviluppo del Partito dei lavoratori. È il fondatore dell’Instituto Socioambiental, una delle più importanti ONG brasiliane in difesa dei popoli indigeni, tradizionali e della conservazione delle foreste e lavora nell’area da oltre 30 anni.

Il 22 febbraio ha partecipato a un incontro con un gruppo di eurodeputati sulla deforestazione e i crimini ambientali in Brasile e, contattato dall’attivista ambientalista Ivanilde Carvalho del Comitato italiano Lula Livre ha accettato di inviare un messaggio ai consumatori italiani tramite il Salvagente.