Mentre è noto che circa il 37% dello stanziamento previsto dal Recovery fund per l’Italia dovrà essere utilizzato per le energie rinnovabili, c’è chi da mesi paventa che una buona fetta tocchi all’Eni per il suo progetto Ccs. La vicenda ha già fatto tanto fa discutere, con il “mistero” della scomparsa, nella versione approvata del Piano dal precedente governo Conte, delle schede dedicate agli specifici progetti e rispettivi investimenti e cronoprogrammi. C’è chi leggeva in questa assenza la cancellazione del progetto Eni – invece presente nella bozza del Pnrr del 29 dicembre, insieme ad altri -, c’è chi invece crede che il “pericolo” di un finanziamento pubblico al colosso del petrolio ancora esista. E c’è da scommettere che questa sarà una delle prime questioni che finiranno sul tavolo di Roberto Cingolani il nuovo ministro della Transizione ecologica del governo Draghi.
Tutto ciò accade mentre Eni sarebbe pronta a lanciare un bond per il finanziamento del Ccs.
Eni: la cattura della CO2 costa cara
Il colosso del petrolio e del gas aveva dichiarato di voler utilizzare quei fondi per la realizzazione di un impianto – il Css, appunto – che dovrebbe catturare l’anidride carbonica emessa dai combustibili fossili i quali, nel frattempo, continueranno ad essere prelevati e utilizzati. Insomma, serve energia per muovere l’impianto “assorbi-CO2” che nel frattempo industrie, auto, case continueranno a liberare nell’aria. Un cortocircuito, se ci si sofferma, inaccettabile per chi si dice contrario a questa operazione, ritenuta una strada non verificata dagli studi scientifici che, utilizzando risorse pubbliche – distoglie dal vero obiettivo, ovvero l’imprescindibilità della transizione energetica. Eni, dal canto suo, difende il Ccs, ma non è stato possibile ottenere risposte puntuali a domande precise: ovvero se sia sensato continuare a liberare CO2 per poi catturarla, e se, eventualmente, sia etico farlo con soldi pubblici, a fronte di scarse prove scientifiche su come avvenga questa “cattura”.
Balzani: “Bisogna dare uno stop ai combustibili fossili”
“La Conferenza di Parigi ha evidenziato che il cambiamento climatico è la minaccia più grave per l’umanità: come si fa a fermarlo? Bisogna smettere di usare i combustibili fossili”.
Non usa mezzi termini Vincenzo Balzani, professore emerito dell’Università di Bologna e accademico dei Lincei, che si è occupato nella sua attività di ricerca di fotosintesi artificiale e macchine molecolari azionate dalla luce, affiancando all’attività di studio anche quella divulgativa sul rapporto tra scienza e società e scienza e pace, con particolare riferimento ai temi dell’energia e delle risorse.
Professor Balzani, cosa bisognerebbe fare?
Politica e industria sono in ritardo. Smettere di usare i combustibili fossili significa anche salvare il mondo dall’inquinamento. In Italia ogni anno muoiono 80mila persone che si ammalano a causa dell’inquinamento, anche più di quelle provocate dalla pandemia. Si stima che in Europa siano 500mila i morti. ‘Non ci sarà lavoro in un pianeta morto’, recitava un motto sindacale qualche anno fa. Ed è così. C’è però una strada e la conosciamo tutti, quella delle energie rinnovabili: sole, vento e pioggia; fotovoltaico, eolico ed elettrico. Questi tre tipi di energia non producono CO2, non inquinano e non emettono calore, una forma di energia inferiore a quella elettrica prodotta dalle rinnovabili. Questo concetto deve essere chiaro: quando il calore si trasforma in elettricità, se ne perde il 70%. In una centrale elettrica a carbone, il 70% dell’energia se ne va in calore. Un’auto a combustibili fossili ha un’efficienza energetica del 20-25%; anche in questo caso il resto si disperde in calore. Un’auto elettrica, invece, converte il 90% nel movimento delle ruote. È così che possiamo tenere a bada il clima e abbiamo maggiore efficienza.
Come si fa la transizione dall’energia prodotta dai combustibili fossili a quella prodotta da energie rinnovabili?
Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, sostiene che le rinnovabili non siano mature e che il metano sia l’energia ponte, perché produce meno anidride carbonica e inquina meno; ma non è vero, è una bugia. La realtà è che tutti i petrolieri hanno capito che il carbone non lo vuole più nessuno, ma lo avremo lo stesso fino al 2025.
Come lo spiega?
Il fotovoltaico converte la luce del sole – fotoni – in energia elettrica – elettroni -; su cento fotoni si producono 20 elettroni. Qualcuno sostiene che si tratti di poco. Faccio un paragone con la fotosintesi clorofilliana; cosa succede? L’energia solare (fotoni) viene convertita in energia chimica (le pere, le mele, ecc.) e il rendimento è lo 0,1%. Ecco, il fotovoltaico è 200 volte più potente. La tecnologia non è matura, è maturissima. Questo fatto mi fa impazzire, ma non si riesce a convincere la politica….
Perché sostiene che la politica sia sorda a queste considerazioni?
Sono stato invitato agli Stati generali dell’economia indetti dal governo Conte la scorsa estate. Hanno partecipato molti soggetti, soprattutto industriali, ma anche alcune associazioni ambientaliste. Ho tenuto una relazione; poi ho parlato con Giuseppe Conte, gli ho fatto omaggio di due miei libri. E di una lampada fotovoltaica. Al pomeriggio dello stesso giorno ha tenuto una conferenza stampa in cui ha parlato solo – elogiandolo – del progetto di Eni a Ravenna, il Ccs. Una sciocchezza.
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“Il Ccs? Una sciocchezza”
Il professor Balzani non ha dubbi sul fato che il progetto Eni sia quanto di più lontano dalla transizione ecologica. E a chi gli fa notare come il cane a sei zampe sostenga che è un’azione e un impianto in qualche modo green, risponde: “Ripeto, una sciocchezza, da non fare assolutamente. Bisogna che sia chiaro che non esistono evidenze del fatto che funzioni, ma solo tentativi sperimentali. La Ue ha finanziato progetti che studiassero il Ccs per alcuni anni, ma non si è concluso niente. Di fatto, questo impianto dovrebbe catturare la CO2 nell’aria e stoccarla sotto al mare. Posto che non si sa come fare a isolare la CO2, le quantità restano enormi. Eni ha presente che nel mondo ogni secondo riversiamo mille tonnellate di biossido di carbonio? E poi dove la catturo questa CO2? Magari fuori dagli stabilimenti, non di certo dal tubo di scappamento della mia auto…”
Lei accusa Eni, insomma, di un bluff…
C’è un vero e proprio cortocircuito: per catturare la CO2 c’è bisogno di energia, che arriva dai combustibili fossili. Chi ha fatto i conti ha stabilito che non si riesce a catturare neanche una quantità uguale a quella che si produce. Eni può dirci qual è il rapporto tra energia catturata e quella generata per catturarla? Mi piacerebbe saperlo. Poi c’è un altro tema: la CO2 è un gas e, comprimendola, posso trasformarla in un liquido e incanalarla nei gasdotti che vanno a finire nei giacimenti già utilizzati a Ravenna. Quando butto biossido di carbonio nei giacimenti dove è rimasto poco petrolio, riesco a farlo venire su. Ecco a cosa serve il Ccs. Il punto è che Eni in Italia comanda più del governo. Ma il discorso vale anche per Snam e Saipem…
Quindi, le risorse del Recovery fund destinate alle rinnovabili potrebbero finire all’Eni?
Conte è stato criticato perché ha capito che gli apparati dello Stato non sono in grado di gestire tutti questi soldi. In un primo tempo si è rivolto ai grandi campioni nazionali: la scelta avrebbe anche un senso. Ma lo avrebbe se l’Eni fosse, come dovrebbe, nel campo delle rinnovabili.
E perché non c’è?
Perché è meglio un uovo oggi che una gallina domani, per alcuni. Ma il giochino poi finirà. È un disastro. E devo dire che anche il Patto sul clima e sul lavoro della Regione Emilia-Romagna, che sarebbe importante, quando lo si legge ci si accorge che è fumoso. Il Ccs non è da sostenere. E però anche a Ravenna, che è sempre stata un sito petrolifero e industriale, molta gente sostiene che si debba andare avanti per mantenere i posti di lavoro. Capisco che sia difficile agire, ma sarebbe meglio – forse – usare la Cig, formare le persone e riassumerle in siti dedicati alle rinnovabili. È successo lo stesso anche con il nucleare; noi scienziati eravamo contrari e abbiamo sempre suggerito cosa bisognasse fare perché c’era il problema delle scorie… Poi c’è stata la tragedia di Fukushima e si è capito. Ma i governi non ascoltano.
In questi mesi a Rimini c’è stato anche il braccio di ferro tra favorevoli e contrari all’impianto eolico…
Bisogna capire. Tutti devono sapere che se non si vogliono le pale eoliche o ci si tiene il cambiamento climatico o si sta al buio. E poi c’è anche tutto il tema dell’idrogeno.
E cioè?
Gli si danno dei colori, ma quello pulito è uno. L’idrogeno si ottiene con l’elettrolisi dell’acqua; questo è purissimo, idrogeno verde, perché è fatto con energia elettrica e acqua. Se è fatto col carbone non è puro. In Germania e Danimarca lo si fa dalle rinnovabili; se lo ottengo per combustione non è puro. Inoltre l’idrogeno deve essere visto piuttosto come qualcosa che serve a immagazzinare energia elettrica. Quando c’è troppo vento e si produce con l’eolico un eccesso di energia elettrica allora la si immagazzina. L’idrogeno diventa una specie di batteria ed è possibile anche riconvertire in energia con un processo inverso a quello dell’elettrolisi. È quello che accade nelle auto a idrogeno che mediante le pile a combustibile lo convertono in energia elettrica. Chi produce idrogeno dal metano fa il cosiddetto idrogeno blu, che non è puro, e libera CO2. Se lo si fa dal carbone, si produce il grigio.
E i biocombustibili?
Sono una fesseria. Brucio cose bio, ma brucio comunque, quindi produco biossido di carbonio. Ricordiamoci che Eni è stata multata dall’Antitrust per aver messo in circolazione come verde un diesel altamente inquinante. Insomma, il concetto è che si tratta di escamotage che servono a portare avanti le pratiche attuali: bruciare. Punto. E così si tengono vivi gli impianti. E le centrali a carbone per ammortizzare gli investimenti. Se verrà fatto il Ccs poi bisognerà usarlo. L’Europa dovrebbe rifiutarsi di accettare un piano simile… Chi intende fare un impianto del genere, se lo deve semmai fare con i suoi soldi, non con quelli pubblici.