“Così abbiamo bocciato U-Mask e Fca”. Parla il laboratorio che le ha testate

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Ha fatto molto clamore il servizio di Striscia la notizia in cui le mascherine U-mask, molto popolari tra i vip, sono risultate al di sotto degli standard di legge, secondo i risultati dei test di laboratorio Bpsec, anticipata dal sequestro del prodotto in alcune farmacie ordinato dalla Procura di Milano. Abbiamo intervistato l’amministratore delegato di Bpsec, Daniele Barbone, per farci raccontare cosa ha causato la bocciatura e per parlare delle altre centinaia di mascherine analizzate da quando è scoppiata la pandemia.

Dopo le mascherine Fca, avete bocciato anche quelle U-Mask.
Dal punto di vista delle performance i test fatti da noi, confermati da altri laboratori in analisi non commissionate da Striscia la notizia, attestano una capacità di filtrazione batterica che non raggiunge mai il minimo stabilito dalla norma, il 95%.

Quante ne avete provato in laboratorio?
Noi abbiamo campionato su 10 dispositivi, testando sia la respirabilità, risultata conforme, e la filtrazione, non conforme.

Uno dei due fattori è più importante dell’altro?
Siccome la filtrazione è meccanica, è chiaro che più è fitto il materiale, più trattiene i batteri, meno aria fa passare. E quindi esiste un compromesso tra queste due performance, che è data da due parametri, 95% di filtrazione senza superare 40 di respirabilità, misurata in differenza di pressione. La norma tecnica fa un bilanciamento tra i due.

U-mask si difende dicendo che non usano lo stesso parametro di filtrazione usato da voi, perché dicono che siccome il loro è un dispositivo innovativo, con caratteristiche particolari, e non rientra nella normativa 14683.
Dal nostro punto di vista, la norma è chiara e non equivoca: devi dimostrare che filtri almeno il 95%, punto. E la norma dice che il metodo è derogabile esclusivamente nel caso dei dispositivi spessi e rigidi, perché siccome la testa del campionatore che viene utilizzata necessità di comprimere il tessuto sulla bocchetta, se fosse spesso e rigido non sarebbe possibile fare tenuta. Loro usano in modo strumentale la norma per bypassare il tema della filtrazione. Noi, come il servizio di Striscia mostra, il dispositivo lo abbiamo applicato sul campionatore senza problemi. Anche Accredia, l’organismo di accreditamento nazionale, dice che il metodo utilizzato da U-mask non è applicabile.

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In Europa valgono le stesse regole di controlli?
Sì. la normativa è uguale in tutta Europa. En14683 è la norma Ue recepita in Italia dalla Uni14683.

Passando invece alle mascherine Fca. Avevate trovato che quelle dello stabilimento di Pratola Serra erano tutte conformi. Quelle di Mirafiori andavano sotto i limiti di legge.
Esatto.

Loro dicono che non gli risulta, ma hanno ammesso a Striscia la notizia che hanno migliorato comunque la produzione. Avete testato anche mascherine di altre aziende?
Abbiamo testato le mascherine di un centinaio di fabbricanti diversi.

Cosa avete trovato?
Va un po’ per periodi. Nel primo, quello che andava da marzo fino a maggio, c’era grande difficoltà a raggiungere gli standard minimi previsti dalla 14683. Il motivo era semplice: in Italia non c’era più un’industria operativa in quel settore, son dovuti ripartire tutti da zero. E poi mancava la materia prima, e se ne adattavano altre allo scopo. E così riuscire a raggiungere quell’equilibrio tra respirabilità e filtrazione era oggettivamente molto difficile. Quindi in quel periodo trovavamo molti produttori che facevano fatica e molti test che ci risultavano negativi.

Che materiale mancava?
Mancava il melt blown, in Italia non ce n’era. Usavano tessuti non tessuti che avevano poca capacità meccanica di trattenere batteri fino al 95%. Quando poi si è riuscito ad avere il melt blown in Italia, il problema era averne uno che avesse una stabilità di qualità, sia importato che prodotto. quindi per un po’ c’e stata ancora qualche difficoltà a raffinare. Oggi non c’è più giustificazione.

E invece continuate a trovare mascherine in commercio che non vanno bene.
Siamo stati chiamati anche dall’autorità giudiziaria a testare mascherine, anche in casi di materiale sequestrato, e i problemi c’erano. ma ribadisco: oggi, anche dal punto di vista dell’approvvigionamento e della qualità dei materiali non esiste più giustificazione per non raggiungere gli standard minimi.

Il luogo comune sulle mascherine farlocche che arrivano dalla Cina ha attinenza con la realtà?
In questo momento quelle che arrivano dall’estero sono quasi tutte conformi. Ormai i materiali che vengono importanti sono tutti stracontrollati.

E invece tra i prodotti made in Italy?
Ancora si trova chi sta lavorando con quei materiali arrivati nella prima fase.

E poi c’è il caso del materiale speciale usato da U-mask.
È un tessuto che ha capacità battericide. Ma se io metto un battericida sulla superficie interna di un imbuto, i batteri passano lo stesso bel buco dell’imbuto. È proprio quello il caso.

Le mascherine “fashion” sono più a rischio di quelle chirurgiche semplici?
In genere non è tanto un tema di fashion o prodotto da 50 centesimi, ma di materiale scelto.

Insomma, l’unico materiale di cui ci possiamo fidare è il melt blown?
Per fare il 95% di filtrazione è quasi impossibile senza melt blown.

Anche le Fpp2 sono fatte con questo materiale? Che differenza c’è con le chirurgiche?
Le Fpp2 usano più strati di melt blown e con un peso diverso e quindi riescono ad arrivare al 99% di filtrazione batterica e 95 di quella particellare.

Ma come può fare un consumatore a capire se il prodotto è fatto con il melt blown o no?
Bisogna chiedere sempre il fascicolo tecnico al fabbricante, e lì c’è scritto.

Quasi mai il consumatore compra dal produttore direttamente…
Basta prendere la marca e il modello e andare a cercare su internet il fabbricante e il fascicolo tecnico deve essere disponibile. Se compri un farmaco leggi il bugiardino, il discorso è lo stesso. Lo mascherina la metti per proteggere la tua salute, non perché è bella. E in ogni caso, capisco per il consumatore, ma per gli utilizzatori professionali non c’è giustificazione.

In che senso?
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione che nella sua azienda fa utilizzare dispositivi non conformi non è in nessun modo giustificabile, perché ha tutti gli elementi di conoscenza a disposizione.

A distanza di un anno, almeno, statisticamente le cose vanno meglio?
Oggi l’unico tema è la costanza di qualità di questi materiali, che dipende in buona sostanza dai controlli che vengono fatti da fabbricanti sui materiali approvvigionati. Tendenzialmente, il problema si sta sempre più andando a risolvere, è anche vero che ci si lavora da quasi un anno, ci mancherebbe altro. Così come è vero che i produttori si sono scremati nel frattempo. Lei ricorderà la famosa frase “mettetevi una sciarpa”, quella frase lì ha giustificato in tanti a produrre con tessuti non a norma.