La crisi del sesamo ai pesticidi non è ancora finita. Basta guardare la continua (e purtroppo ancora pressoché quotidiana) sequela di ritiri e richiami che in Italia e in tutto il mondo continua da mesi. Ma alcune cose cominciano a diventare chiare nell’inchiesta che l’Unione europea sta svolgendo.
Un’inchiesta che ha anche quantificato i numeri di una delle maggiori crisi alimentari degli ultimi anni. Vediamoli allora questi numeri.
Bloccati 3 milioni di chili di sesamo contaminato
A oggi quelle scoperte e richiamate o restituite al mittente sono almeno 3.000 tonnellate di sesamo con ossido di etilene.
Detto in altro modo 3 milioni di chili di materia prima venduta in semi, mix di semi e con la quale poi si realizzano pame, zuppe, dolci, barrette, cioccolate. Biologiche e non. Una quantità enorme ma solo la punta di un iceberg delle 60mila tonnellate che ogni anno lasciano l’india per approdare nel Vecchio Continente.
Un grave rischio per la salute
L’allarme, è stato lanciato a settembre, quando il RASFF (il sistema di allerta rapido comunitario) ha notificato livelli molto elevati di questo pesticida in alcuni lotti di semi di sesamo originari o inviati dall’India ed entrati nell’Ue. I valori di pesticida rintracciati nel sesamo erano infatti più di 1.000 volte il limite massimo di residui (MRL) di 0,05 milligrammi per chilogrammo fissati dalla regolamentazione.
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Secondo la Commissione, tale contaminazione costituisce un grave rischio per la salute umana in quanto l’ossido di etile è classificato come mutageno, cancerogeno e tossico per la riproduzione. Ebbene, quello che oramai appare chiaro, è che i produttori indiani hanno consapevolmente utilizzato questo prodotto di decontaminazione.
E questo è accaduto da quasi un anno. I prodotti più vecchi che sono stati identificati come contaminati erano in effetti già sul mercato nel febbraio 2020. Dunque per almeno 7 mesi i cittadini europei hanno mangiato senza saperlo prodotti all’ossido di etileme.
L’ossido di etilene per oltrepassare le frontiere senza problemi
“Non si tratta di un incidente isolato”, ha concluso la Commissione Europea, che ha ipotizzato le ragioni dell’utilizzo di questo pesticida: “L’Europa ha fatto molta pressione sull’India per evitare la contaminazione del sesamo da salmonella, con un campione su cinque che viene controllato con questo criterio all’arrivo nel continente. Ciò probabilmente ha portato a un maggiore utilizzo di prodotti di decontaminazione come l’ossido di etilene”. Una scelta che consentiva di esportare nel Vecchio Continente senza grandi rischi, dato che “non c’era una frequenza minima dei controlli sull’ossido di etilene, perché fino ad ora non avevamo individuato alcun rischio particolare riguardante questo prodotto “, ha spiegato la Commissione europea. Insomma, per molti mesi l’ossido di etilene è stato praticamente invisibile nel mare di sesamo importato dall’India.
Oggi, ovviamente le cose non stanno più così. Da qualche mese le autorità europee controllano il 50% dei lotti di sesamo provenienti dall’India per la contaminazione da ossido di etilene.
Perché a 4 mesi dall’allarme c’è ancora chi scopre il sesamo contaminato?
Quello che stupisce in questa vicenda, oltrettutto, è che 4 mesi dopo il primo allarme, ancora ci siano casi in cui i produttori scoprono di aver commercializzato alimenti che prevedono tra gli ingredienti il sesamo contaminato. Un sesamo che, evidentemente era già entrato nelle frontiere europee prima dello scoppio dell’allarme (e prima dei controlli alle frontiere) ma che, crediamo, poteva essere tolto di mezzo già dopo le prime avvisaglie di settembre dello scandalo indiano. A meno di voler supporre che quelli che vengono richiamato oggi sia sesamo contaminato sfuggito alle analisi alle frontiere e scovato da chi lo usa come ingrediente. Un’ipotesi che sarebbe altrettanto inquietante.