Cannabis, Corte Ue: “Cbd non ha effetti stupefacenti, deve circolare liberamente”

CBD CANNABIS CANAPA OLIO DI CANAPA

Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi. In Italia, questa sostanza a fine ottobre era stata al centro di molte polemiche, dopo il decreto del ministro alla Salute Speranza che la definiva “Sostanza stupefacente”, poi ritirato per la mole di critica di chi temeva le conseguenze disastrose sul settore della cannabis light.

La storia da cui parte la sentenza

La sentenza riguarda il ricorso di due ex amministratori di una società che commercializzava una sigaretta elettronica all’olio di cannabidiolo (Cbd), molecola appartenente alla famiglia dei cannabinoidi. Il Cbd era prodotto in Repubblica ceca a partire da piante di canapa coltivate legalmente e utilizzate nella loro interezza, foglie e fiori compresi. Esso veniva poi importato in Francia per esservi confezionato in cartucce per sigarette elettroniche. Ma in virtù della normativa francese, soltanto le fibre e i semi della canapa possono essere utilizzati a fini commerciali. Condannati dal tribunal correctionnel de Marseille (Tribunale penale di Marsiglia, Francia) a 18 e a 15 mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena nonché a 10mila euro di ammenda, hanno fatto ricorso, arrivando attraverso tutti i gradi di giudizio alla Corte di giustizia Ue. Nella sua sentenza, la Corte dichiara che il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, è in contrasto con una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale. La Corte osserva che le disposizioni relative alla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione sono applicabili, poiché il Cbd così come distribuito dai ricorrenti non può essere considerato come uno “stupefacente”.

“Non è stupefacente”

La Corte rileva che per definire le nozioni di «droga» o di «stupefacente», il diritto dell’Unione fa riferimento, in particolare, a due convenzioni delle Nazioni Unite: la convenzione sulle sostanze psicotrope e la convenzione unica sugli stupefacenti. “Il Cbd non è menzionato nella prima – spiega la Corte Ue – e, sebbene un’interpretazione letterale della seconda potrebbe indurre a classificarlo come stupefacente, in quanto estratto della cannabis, tale interpretazione sarebbe contraria allo spirito generale di tale convenzione e al suo obiettivo di tutelare “la salute fisica e psichica dell’umanità”. La Corte sottolinea che, in base allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, di cui è necessario tener conto, a differenza del tetraidrocannabinolo (comunemente noto come Thc), anch’esso un cannabinoide ottenuto dalla canapa, il Cbd in questione non risulta avere effetti psicotropi né effetti nocivi per la salute umana.

Gli stati possono fare restrizioni ma con motivazioni scientifiche

La Corte precisa, tuttavia, che una normativa del genere può essere giustificata da uno dei motivi di interesse generale quale l’obiettivo di tutela della salute pubblica invocato dalla Francia, a condizione che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo suddetto e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento. Benché quest’ultima valutazione spetti al giudice nazionale, la Corte fornisce due indicazioni a tale riguardo. Da un lato, essa rileva che sembrerebbe che il divieto di commercializzazione non riguardi il Cbd di sintesi, il quale avrebbe le stesse proprietà del Cbd  in questione e potrebbe essere dunque utilizzato come sostituto di quest’ultimo. “Qualora tale circostanza fosse dimostrata, sarebbe tale da indicare che la normativa di cui trattasi nel procedimento principale non è idonea a conseguire, in modo coerente e sistematico, l’obiettivo di tutela della salute pubblica” scrive la Corte. Dall’altro lato, la Corte riconosce che, effettivamente, la Francia non è tenuta a dimostrare che la pericolosità del Cbd sia identica a quella di taluni stupefacenti. Tuttavia,il giudice nazionale deve valutare i dati scientifici disponibili al fine di assicurarsi che l’asserito rischio reale per la salute non risulti fondato su considerazioni puramente ipotetiche. Infatti, un divieto di commercializzazione del Cbd, che costituisce, del resto,l’ostacolo più restrittivo agli scambi aventi ad oggetto prodotti legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, può essere adottato soltanto qualora tale rischio risulti sufficientemente dimostrato.