Greenpeace contro Eni: “Le bugie hanno le zampe corte”

ENI

“Le bugie hanno le zampe corte”. Con questo gioco di parole relativo allo storico simbolo dell’Eni, il cane a sei zampe appunto, Greenpeace punta il dito contro il colosso petrolifero e lo accusa di non fare abbastanza per la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera. Per questo l’Ong lancia una petizione per con cui chiede alla compagnia, “una delle aziende italiane più inquinanti al mondo e il maggior emettitore di CO2 in Italia”, di investire nelle rinnovabili per fermare l’emergenza climatica.

“Un piano insufficiente”

Luca Iacoboni, responsabile della campagna Clima e Energia di Greenpeace Italia, spiega al Salvagente le ragioni della petizione: “Gli impatti climatici dell’azienda, il livello delle emissioni, e il piano della decarbonizzazione al 2050 e il piano d’azione 2020-2023, presentati recentemente purtroppo non sono piani che permettono davvero l’azienda di fare la propria parte per contrastare l’emergenza climatica”. Iacoboni aggiunge: “Secondo la scienza, abbiamo una finestra temporale che non va oltre i 10 anni per avviare la parte più importante di decarbonizzazione e invece l’azienda in questi 10 anni prevede di aumentare le proprie estrazioni di idrocarburi, in particolare di petrolio nei prossimi 4 anni, e poi del gas”.

Le compensazioni di Redd+

Secondo Greenpeace, infatti, le aspettative di Eni sono riposte in soluzioni inadeguate, o false. “Mi riferisco – chiarisce Iacoboni – per esempio alla tecnologia Redd+, che sono i progetti di preservazione delle foreste, e permettono di acquisire crediti di emissione, che significa sostanzialmente continuare a emettere Co2, ma tramite questi progetti compensarla”. La compensazione consiste nell’impegnarsi a fare attività benefiche come evitare la deforestazione, difendendo parti di foresta a rischio, anche comprandole. Oppure  nel portare avanti progetti di riforestazione. Ma secondo il responsabile della campagna Clima di Greenpeace, “Questi progetti a livello internazionale hanno sempre riscontrato delle zone d’ombra e criticità. Innanzi tutto prendere una foresta che è un bene di tutti e dire io la difendo e quindi posso continuare a inquinare è una cosa che filosoficamente non va bene. Per quanto riguarda la piantumazione di nuovi alberi bisogna fare attenzione. Talvolta è successo in passato che queste piantumazioni anziché dare vita a foreste dessero vita a piantagioni, addirittura a scopo commerciale in alcuni casi. È ben diverso prendere una foresta primaria o piantare degli alberi, anche in termini di assorbimento delle emissioni”.

Il carbonio stoccato sotto il mare

Secondo Greenpeace, l’altra grande promessa che non mantiene le aspettative è il Ccs (carbon capture storage), la cattura e lo stoccaggio del carbonio che Eni vuole fare a Ravenna. “La Ccs a Ravenna – spiega Iacoboni – è una tecnologia abbastanza nuova che permette all’azienda di estrarre e bruciare gas e di prendere una parte della CO2 e metterla, almeno in questo caso, nei fondali marini, nei depositi di gas esauriti. Vogliono continuare a emettere CO2 nascondendola sempre di più. Ammesso che questi bacini tengano e funzionino, non si può pensare di continuare in questa maniera, anche perché si vanno a riempire e se ne dovranno trovare altri”. Il problema, aggiunge Iacoboni, è che “Questo è un progetto molto costoso ed Eni sta chiedendo soldi pubblcii tramite i meccanismi del Recovery Fund e secondo noi è assolutamente sbagliato darli ad aziende che non le usano per tagliare l’uso dei combustibili fossibili ma per non svalutare i loro asset economici”.

Investimenti minimi in rinnovabili

A partire dal 2025, Eni prevede di aumentare le compensazioni, soprattutto con il Ccs, ma il problema, secondo Greenpeace, è che nel piano di investimenti dell’azienda ci sono 24 miliardi in idrocarburi e 2,6 in rinnovabile. “Per ogni euro messo in rinnovabili all’incirca 10 vanno in idrocarburi. Non sono assolutamente l’unica azienda del comparto oil&gas che fa pubblicità “verdi” e attività “nere”, però sicuramente quello è esattamente il greenwashing espletato alla perfezione” spiega Iacoboni che riassume così le richieste da sostenere firmando la petizione: “Ha degli obbiettivi sul rinnovabile al 2050 e noi chiediamo che siano anticipati al 2030, altrimenti non c’è nessuna vera decarbonizzazione in corso. Servono grossi investimenti in varie tecnologie rinnovabili, l’abbandono di false soluzioni come Redd+ e Ccs, e lo stop a nuove ricerche di gas e petrolio”.

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La risposta di Eni

Un portavoce di Eni risponde al Salvagente relativamente alle critiche di Greenpeace, con una nota: “Negli ultimi sei anni, Eni ha avviato una trasformazione che la porterà ad un’evoluzione del business in un’ottica di decarbonizzazione e privilegiando un approccio circolare. Alcuni grandi risultati sono stati già raggiunti. Ad esempio nel 2019, l’intensità delle emissioni di gas a effetto serra nelle nostre operazioni upstream si è ridotta del 27% rispetto al 2014; le emissioni fuggitive di metano si sono quasi dimezzate rispetto al 2018. In linea con il percorso intrapreso, a febbraio 2020 abbiamo lanciato una strategia di medio-lungo termine tra le più all’avanguardia del settore che ci porterà a una riduzione radicale dell’impronta carbonica dei nostri prodotti energetici nei prossimi 30 anni (-80% al 2050 vs 2018 delle emissioni nette GHG Scope 1,2 e 3). Tali valori sono superiori a quelli richiesti dallo scenario che contiene l’aumento della temperatura ben al di sotto dei due gradi”.

Il portavoce Eni continua: “Per monitorare il raggiungimento di tali obiettivi Eni ha anche sviluppato una rigorosa metodologia di contabilizzazione delle emissioni complessive GHG lungo tutte le sue filiere di produzione, trasformazione e consumo. La nostra strategia al 2050 richiederà una graduale evoluzione del business. La produzione oil & gas, che prevediamo raggiunga il plateau nel 2025, sarà destinata a ridursi negli anni successivi, principalmente nella componente olio. Di pari passo, aumenteremo in modo consistente la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, raggiungendo una capacità installata superiore a 55GW al 2050. Infine, con i progetti di conservazione delle foreste e di cattura e stoccaggio della CO2, che gli scenari prevedono tra gli strumenti essenziali per la decarbonizzazione dei settori che non possono essere elettrificati e per riassorbire le emissioni passate, puntiamo a eliminare circa 40 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2050 – un sostegno concreto alla riduzione delle emissioni mentre nuove tecnologie si renderanno disponibili. In coerenza con questi obiettivi, abbiamo pianificato investimenti in fonti rinnovabili, di efficienza energetica, economia circolare (come la valorizzazione dei rifiuti) e abbattimento del flaring di quasi € 5 miliardi nel periodo 2020-2023. La bontà della nostra strategia e delle nostre azioni sono riconosciute dai principali analisti di settore e dalle agenzie che assegnano rating ambientali come MSCI, sustainalytics, TPI, Bloomberg e Carbon Tracker”.