Olio di canapa, un ottimo alimento ma ancora troppo “artigianale”

La canapa industriale (Cannabis sativa L.) è una pianta erbacea annuale ampiamente e tradizionalmente diffusa in diverse zone geografiche grazie alla sua capacità di adattarsi e rispondere bene ai cambiamenti climatici. È stata a lungo utilizzata fin dall’antichità con scopi medicinali e nutrizionali, tra gli altri, grazie al suo ricco contenuto chimico. Ma qual’è la qualità e la composizione degli oli di semi di canapa che oggi sono in commercio in Italia?
Se lo sono chiesti un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Farmacia della Federico II di Napoli (tra cui il professor Alberto Ritieni che fa anche parte dello Staff della Cattedra Unesco per l’educazione sanitaria e lo sviluppo sostenibile), del Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche della Federico II di Napoli nonchè del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche Biologiche e Ambientali dell’Università Vanvitelli di Caserta.
La conclusione a cui sono arrivati lavorando su 13 oli di canapa commercializzati nel nostro paese è che potenzialmente si tratta di un ottimo alimento ma che le variazioni della composizione sono ben lontane da quelle accettabili in un cibo e ancora più lontane da quelle dell’olio di oliva, anche per i minori controlli previsti per quello di canapa.

SEMI PREZIOSI NELLA NOSTRA DIETA

Attualmente, il catalogo comune delle cultivar approvato dall’UE include alcune cultivar di Cannabis sativa con un contenuto totale di ∆9-tetraidrocannabinolo (∆9-THC, il principio psicotropo, tradizionalmente associato all’uso “ricreativo” della marijuana) inferiore allo 0,2%. D’altra parte, queste cultivar di cannabis comunemente chiamate “canapa industriale” generalmente contengono un’alta concentrazione del precursore acido del cannabidiolo (CBDA), composto noto per avere una vasta gamma di importanti proprietà biologiche, comprese attività anticonvulsivanti, antiepilettiche e antimicrobiche, ed è usato come integratore nel trattamento dell’osteoartrosi e delle malattie muscolo-scheletriche.
Il seme di canapa, però, rappresenta anche una grande fonte di nutrienti e l’uso a scopo nutrizionale è focalizzato sui semi oleosi, principalmente a causa di un ricco contenuto di acidi grassi polinsaturi (PUFA) e di un rapporto ottimale tra gli acidi grassi Omega-6 e Omega-3, raggiungendo il rapporto ideale di 3 a 1. Questo valore è considerato ottimale per la salute umana, con un’influenza positiva sulla condizione di salute riducendo il rischio di ammalarsi di malattie cardiovascolari.
Tuttavia, l’elevato contenuto di polinsaturi nell’olio di semi di canapa lo rende altamente suscettibile alle reazioni di ossidazione dei lipidi. L’instabilità ossidativa è uno dei fattori più importanti ed è responsabile della riduzione della qualità dell’olio e della sua durata di conservazione. Questo processo negli oli commestibili influenza le proprietà nutrizionali, la tossicità, il colore e l’aroma, portando allo sviluppo di vari sapori e gusti sgradevoli. Inoltre, è riportato che l’olio di semi di canapa contiene un’enorme quantità di clorofille che possono interferire con la stabilità ossidativa e l’irrancidimento. Questi pigmenti naturali agiscono come potenti pro-ossidanti, aumentando la suscettibilità all’ossidazione e promuovono il cambiamento dal colore verde scuro intenso al giallo. Sono necessari diversi processi di raffinazione durante la produzione di olio di semi di canapa per ridurre il contenuto di clorofilla e altri componenti minori come metalli e fosfolipidi che potrebbero influenzare la qualità dell’olio. Infine, l’olio di semi di canapa contiene molti altri costituenti minori come i polifenoli, i carotenoidi e i tocoferoli, tutti coinvolti nei processi antiossidanti e che svolgono un ruolo importante nella protezione degli oli commestibili dall’ossidazione. Negli esseri umani, tutti questi composti possono mostrare avere importanti proprietà biologiche per i loro effetti antiossidanti e antinfiammatori.

COSA SI TROVA IN COMMERCIO

Sebbene diversi prodotti oleosi a base di canapa siano disponibili in commercio, il quadro giuridico per la commercializzazione di questo tipo di prodotto nell’Unione Europea è ancora ambiguo. Infatti, nonostante sia classificato come nuovo alimento, non sono stabiliti i controlli di qualità per l’olio di semi di canapa commercializzato, al contrario di quanto accade per l’olio d’oliva. Acidità, indice di perossidi, caratteristiche di assorbanza attraverso misurazioni del DeltaK232 e del DeltaK270 e della composizione chimica, sono i parametri che comunemente qualificano un olio d’oliva come idoneo alla commercializzazione, ma la loro definizione applicativa per gli oli di semi di canapa potrebbe essere limitativa. La qualità dell’olio di semi di canapa dovrebbe essere garantita da parametri più restrittivi, spiega il pool di scienziati italiani, che tengano conto della sua complessità chimica e della sua differenziazione mediante diversi fattori quali fattori genetici (varietà), o metodi utilizzati per il suo ottenimento (es. pressatura ed estrazione con solvente), così come i processi di raffinazione e decolorazione. Lo sviluppo di standard di produzione condivisi per migliorare la gestione della qualità dell’olio di semi di canapa a livello nazionale dovrebbe essere approfondito attraverso la definizione di uno speciale libretto disciplinare.

COSA HA TROVATO LO STUDIO SUGLI OLI DI CANAPA

Sebbene alcuni studi abbiano esaminato la composizione chimica dei semi di canapa e degli oli di semi di canapa, poco si sa sulle caratteristiche dell’olio di semi di canapa commerciale che effettivamente raggiunge i consumatori. E lo studio realizzato da un pool di scienziati (tra questi spicca il professor Alberto Ritieni che i nostri lettori conoscono bene) ha cercato di fornire dati utili riguardanti la composizione chimica nonché i parametri di qualità di tredici oli di semi di canapa commerciali disponibili sul mercato italiano al fine di valutarne la variabilità caratteristica biochimica e proporre la loro introduzione nella dieta umana abituale. È stata inoltre studiata la stabilità all’ossidazione dell’olio, valutata misurando i prodotti di ossidazione primaria e secondaria durante i test di foto-ossidazione accelerata.
I dati riportati nel lavoro dei ricercatori e pubblicati sulla rivista accademica Molecules hanno mostrato che gli oli studiati differiscono notevolmente nel contenuto di alcuni composti bioattivi, suggerendo la necessità di un disciplinare che definisca bene le pratiche agronomiche e di gestione post-raccolta per il raggiungimento di una qualità alimentare elevata e costante
In particolare, gli oli hanno mostrato un buon rapporto Omega-6 / Omega-3, compreso tra 1,71 e 2,27, ma nel contempo anche molte differenze nei loro contenuti di clorofille (0,041-2,64 μg/g) e carotenoidi (0,29-1,73 μg /g), nonché in fenoli e tocoferoli.