Secondo l’avvocatura generale della Corte di giustizia europea il decreto francese sull’obbligo di indicare l’origine del latte, sarebbe stato emanato “senza dati oggettivi sull’utilità della norma” e favorirebbe “lo spalancare le porte a una reintroduzione indiretta di normative nazionali relative ai prodotti alimentari che avevano lo scopo di far leva su istinti puramente nazionalisti, o addirittura sciovinisti, da parte dei consumatori”.
Il rischio, come ha rivelato il sito Agricolae.eu che riporta il parere integrale dell’avvocato generale della Cge Gerard Hogan, è che oltre il contestato decreto francese, ci siano anche quelli italiani che hanno introdotto – e sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2021 – l’obbligo di riportare la provenienza della materia prima su latte e pasta-grano.
La vicenda, come ricostruisce Agricolae, nasce in Francia a seguito del ricorso registrato il 24 ottobre 2016, la Lactalis, azienda francese proprietaria di Parmalat, ha chiesto al Conseil d’État, il Consiglio di Stato francese, l’annullamento del decreto sull’obbligo di origine. Sul tavolo, secondo l’azienda lattiero-casearia, ci sarebbe la violazione, da parte del decreto, degli articoli 26, 38 e 39 del Regolamento 1169/2011 sull’etichettatura alimentare. “Dato che il giudice del rinvio ha ritenuto che, per pronunciarsi, occorre determinare l’interpretazione da dare a talune disposizioni di detto regolamento – si legge ancora nel sito – il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre la questione alla Corte di giustizia europea“. Che appunto si è pronunciata sostenendo che questi decreti nazionali, pur derivando dal Regolamento 1169/11, rischiano di infrangere l’armonizzazione normativa comunitaria se non supportati da dati di oggettiva utilità dato che “l’intenzione del legislatore dell’Unione era proprio quella di escludere la possibilità che, nel caso di disposizioni specifiche che richiedano l’indicazione del luogo di origine, la loro adozione possa essere fondata esclusivamente su considerazioni puramente soggettive”.
Insomma una decisione che rischia di cancellare la trasparenza in etichetta.