E se il numero di morti in Italia a causa del CoVid-19 fosse legata all’antibiotico-resistenza? A porsi la domanda dal suo blog su Fanpage.it è la virologa Ilaria Capua. “Lo dico con molto rispetto, ma senza alcuna remora: questi decessi sono un’anomalia che dobbiamo approfondire e studiare con cura e velocità” scrive la dottoressa aggiungendo: “in Italia c’è un altro problema che continua a non avere l’attenzione che merita e di cui nessuno, a maggior ragione, ha parlato in questi giorni: l’Italia è in Europa, insieme a Cipro, il Paese che ha più ceppi batterici antibiotico resistenti”. Continua, poi, approfondendo concetti non nuovi, spiegando che cos’è l’antibiotico- resistenza e cercando di delineare i motivi per cui si sviluppa la resistenza agli antibiotici.
Partiamo da alcuni numeri che risalgono a novembre 2019. Dei 33.000 decessi che avvengono in Europa ogni anno per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici, oltre 10.000 succedono in Italia. I motivi della resistenza ad alcuni ceppi di antibiotici sono diversi. Innanzitutto ne usiamo troppi anche per curare patologie dove il loro uso non è necessario. E ne usano troppi anche gli allevatori.
Nonostante un recente trend di riduzione, le vendite di antibiotici destinati agli allevamenti restano estremamente alte in Italia secondo i dati riportati dall’ultimo report dell’EMA (Agenzia Europea del Farmaco), il nostro paese è infatti secondo solo a Cipro. Anche se l’uso sta diminuendo, rimane comunque 2,5 volte più alto della media europea e fra 20 e 50 volte più alto di paesi come la Svezia e l’Islanda.
In Italia, ricorda in una nota l’associazione animalista Ciwf, oltre il 90% degli antibiotici destinati agli allevamenti sono usati per l’uso di massa nei mangimi o nell’acqua, mentre in Svezia e in Islanda più del 90% è usato per trattamenti individuali. Questo mostra che nel nostro paese è ancora scarso lo sforzo per limitare l’uso di questi farmaci fondamentali negli allevamenti. In Italia, scrive ancora il Ciwf “quasi il 70% degli antibiotici venduti sono destinati agli animali negli allevamenti”.
Ha fatto discutere il nostro test di febbraio che ha trovato tracce di farmaci – anche antibiotici e cortisonici – nella maggior parte di latte fresco e a lunga conservazione. Qui una sintesi del nostro servizio di copertina. Vero che le analisi hanno dimostrato che si tratta di tracce, quantità ben al di sotto di quelle consentite dalla legge ma tutti gli esperti che abbiamo contattato sono stati concordi nel sostenere che non ci sono evidenze per escludere che anche l’esposizione a queste piccole dosi in maniera continuativa possa contribuire all’antibiotico-resistenza.
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Lo abbiamo detto chiaramente anche noi, quello dell’antibiotico resistenza è un fenomeno che va studiato e contrastato: lo ha detto anche l’Ema e questa pandemia forse sarà la volta buona per una discussione seria.