Non si commette reato se si coltiva in casa uno scarso numero di piante di marijuana, con un modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile per uso personale.
Il principio è contenuto nella sentenza storica pronunciata il 19 dicembre scorso dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione: dal “reato di coltivazione di stupefacente (…) devono però ritenersi escluse le attività di coltivazione di minime dimensioni, svolte in forma domestica che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate i via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.
A differenza della Corte Costituzionale che in passato aveva assunto una linea molto severa che aveva fatto giurisprudenza – in sostanza: la coltivazione della cannabis è sempre reato, a prescindere dal numero di piantine e dal principio attivo prodotto, anche se la coltivazione era per uso personale – la Cassazione ha ribaltato questo principio affermando una tesi per cui “il bene giuridico della salute pubblica non viene in alcun modo pregiudicato o messo in pericolo dal singolo che decide di coltivare per sè qualche piantina di marijuana”. Ora si attende la pubblicazione delle motivazioni della sentenza.