Le nanoparticelle hanno invaso i nostri piatti

Non è certo un fulmine a ciel sereno, ma non per questo lascia indifferenti. La denuncia dell’ultimo numero di Bon a Savoir, mensile dei consumatori svizzeri, fa impressione: le nanoparticelle hanno invaso i nostri piatti, questo il titolo del giornale elvetico. Un titolo che viene dopo aver ricevuto i risultati di un’analisi di laboratorio che su quindici prodotti analizzati in laboratorio hanno mostrato la presenza di nanoparticelle in tutti i casi.

Cosmetici, medicine, dentifrici, prodotti alimentari: le nanoparticelle sono effettivamente ovunque. Infinitamente piccole, queste particelle prendono il nome dalle loro dimensioni: da 1 a 100 nanometri (nm), un nanometro equivalente a un miliardesimo di metro (10-9 m). Sono 50.000 volte più piccole di un capello. Dunque invisibili ad occhio nudo e spesso anche a quello del legislatore, visto che sono molti i prodotti dove si rinvengono anche se le aziende non le dichiarano in etichetta.

In Svizzera, i produttori alimentari dovranno menzionare, a partire dal maggio 2021, l’esistenza di queste particelle.

In attesa dell’entrata in vigore del requisito di etichettatura, Bon a Savoir ha testato, circa quindici prodotti che contenevano l’additivo E551 (biossido di silicio) o l’E171 (biossido di titanio). I risultati del laboratorio hanno mostrato la presenza di nanoparticelle in tutti i campioni, nonostante nessuno li dichiarasse.

L’analisi svizzera

Nel dettaglio, sono state trovate con biossido di silicio interamente composto da nanoparticelle i seguenti prodotti analizzati in Svizzera:

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E questi sono i campioni in cui è stato trovato il biossido di titanio nano

In particolare il biossido di silicio, nei campioni elvetici è risultato interamente composto da nanomateriuali. Nel caso dell’E171, le nanoparticelle oscillano tra il 26% e il 73%.

 

Le nostre analisi di giugno

Lo scorso giugno anche il Salvagente aveva cercato le nanoparticelle ibn molti prodotti, trovandole in abbondanza. Ecco quali erano stati i nostri risultati.

Il rischio

Il problema, sottolinea Bon a Savoir è che non si conoscono a fondo i rischi per la salute di pèarticelle tanto piccole.

Il consumo di alimenti contenenti biossido di titanio ha però un impatto sul microbiota intestinale, ovvero sui miliardi di organismi, soprattutto batteri, che popolano il nostro intestino. Questo potrebbe scatenare malattie infiammatorie intestinali e il cancro del colon-retto. E’ la conclusione cui è giunto uno studio dell’Università di Sidney: i ricercatori si sono soffermati, in particolare, sui danni dell’additivo quando presente in dimensione nano. Una circostanza che si verifica spesso come ha dimostrato anche il test che Il Salvagente ha condotto su 12 prodotti, tra snack, gomme, caramelle e farmaci.

Wojciech Chrzanowski, co-autore dello studio, ha affermato che il “loro lavoro ha aggiunto materiale sulla tossicità e sicurezza delle nanoparticelle e sul loro impatto sulla salute e sull’ambiente”: “L’obiettivo di questa ricerca è stimolare discussioni su nuovi standard e regolamenti per garantire l’uso sicuro delle nanoparticelle in Australia e nel mondo”, ha affermato sottolineando come sia necessario rivedere la regolamentazione su questo additivo.

Se la Francia ha deciso di vietare, a partire dal 1 gennaio 2020, la commercializzazione di alimenti contenti il biossido di titanio, in Australia e in Europa sulla sua sicurezza sembrano non esserci dubbi. “Qui in Australia – spiega Chrzanowski – al momento non è prevista la rimozione di alimenti contenenti l’additivo dagli scaffali dei supermercati, tuttavia la Food Standards Australia New Zealand (Fsanz) afferma che sta monitorando da vicino il problema delle nanotecnologie”. Sul biossido di titanio, invece, nel 2015, l’Agenzia ha commissionato una revisione della sicurezza dell’E171 che ha rilevato che non vi sono prove di rischi per la salute derivanti dal consumo di alimenti che contengono l’additivo. Simile il parere dell’Efsa che, dopo averlo assolto nel 2016, lo scorso anno ha addirittura chiuso le porte ad un’eventuale nuova valutazione ignorando i rischi che sono emersi dai recenti studi francesi.