Si può produrre senza usare pesticidi, senza metalli pesanti e senza utilizzare una goccia di acqua in più rispetto a quella piovana? Già la prima domanda, come abbiamo dimostrato nel test di copertina di questo numero del Salvagente, seleziona in maniera drastica i produttori. Lasciando fuori quelli, come abbiamo rilevato nelle nostre analisi, “pescati” con ben 16 residui di sostanze diverse nei loro pomodori.
“Eppure non solo si può, ma noi lo facciamo e riusciamo a rifornire gli scaffali di grandi supermercati come Coop e Conad ogni anno con 4 milioni di chili di pomodori e 2 milioni di chili di insalate”.
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Luigi Galimberti è amministratore delegato di Sfera agricola, un’azienda che nel cuore della Toscana ha scelto la strada della coltivazione idroponica per produrre. E ci tiene subito a chiarire: “La parola magica, però, non è idroponica, questa tecnica di coltivare in serra, senza o fuori dal suolo, fornendo una soluzione di acqua e sostanze nutritive alle piante, può anche essere usata per produrre di più e non meglio. Non è automatico che comporti un prodotto pulito e di qualità”.
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La serra, 13 ettari vicino a Gavorrano, di Galimberti vista da fuori è un’enorme capannone, moderno ma non diverso da altri. È entrando che sembra di mettere i piedi in un immenso laboratorio scientifico, quanto di più lontano dall’immagine bucolica che abbiamo di un campo agricolo. Nella serra (e negli uffici di Sfera) lavorano 230 dipendenti (“tutti regolarmente assunti” ci tiene a sottolineare Galimberti) e tra le piante si aggira personale in camice bianco.
Ma come è nata l’idea e come si è arrivati a produrre, come fa Sfera agricola, il 75% del pomodoro raccolto in tutta la Toscana?
“Nel 2015 assistevo a un convegno scientifico all’Università di Grugliasco a Torino e sono rimasto colpito dalla scoperta che se le radici sono a 20 gradi la pianta, a prescindere dalle condizioni esterne non soffre né il caldo né il freddo. Ho cominciato da qui a studiare le colture idroponiche in serra e mi sono reso conto che in Italia le esperienze non funzionavano per una semplice ragione: sotto gli 8 ettari di estensione non potevano raggiungere un punto di pareggio economico. Ma 8 ettari non sono più una serra ma una fabbrica”.
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Galimberti, un passato nell’edilizia, inizia a studiare un progetto ma i conti diventano subito proibitivi: “fatta qualche analisi ero già arrivato a un progetto di 15 milioni di euro”.
Galimberti non molla e mette giù un progetto e lo invia via linkedin all’amministratore di un fondo di investimento. E arrivano i primi 150mila euro per far partire il suo un sogno. “Ho cominciato a lavorare e quando ho avuto terreni e permessi sono arrivati 20 milioni di euro”.
Oggi Sfera ha la sua produzione tutta già venduta e a prezzi non certo stracciati. “Noi diamo il nostro datterino a 5,80 euro alla grande distribuzione che lo vende intorno ai 7,80 euro”. Un ricarico decisamente inferiore a quello che i supermercati applicano in questo settore. Galimberti lo spiega così: “con i nostri prodotti la Gdo non deve sostenere i costi né per le promozioni né per lo smaltimento dell’invenduto, i pomodori stanno poco sui banchi perché il consumatore ci conosce e ci cerca”.
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E cosa hanno di diverso questi datterini? “Il sapore – giura l’Ad di Sfera – e poi sono a lotta bio, anche se non sono certificati e non ci interessa lo siano, sono a residui zero di pesticidi”. Dunque non ne usate? Chiediamo. “Se c’è una patologia trattiamo la pianta ma a quel punto non commercializziamo i pomodori”. I prodotti, poi, sono anche nichel-free.
Dove vuole arrivare Sfera? Galimberti sogna in grande: “Vorrei arrivare a 500 ettari nei prossimi 10 anni, una superficie che è un terzo di quella che l’Olanda destina all’idroponica, diventando il più grosso produttore in Unione Europea. Fissando gli standard in alto e costringendo gli altri a rincorrerci in un business sostenibile, pulito, che paghi tutti coloro che ci lavorano in maniera degna”. E non sarebbe davvero poco…