L’Italia è un paese che nel mondo della ristorazione vive un contrasto veramente fuori dal comune perchè se da un lato siamo considerati la culla della buona tavola, delle più conosciute tradizioni enogastronomiche, dei prodotti alimentari più copiati e piratati, dall’altro siamo anche il paese dove la quota dei ristoratori etnici è cresciuta del 40% in pochi anni. Oggi nella sola Milano si contano oltre 3.000 ristoratori stranieri che nel loro insieme coprono il 40% di tutte le aziende di ristorazione.
E in questi giorni i dati sui controlli dei Nas dei Carabinieri in Italia fatti anche su ristoranti etnici e sui depositi di alimenti d’importazione hanno fatto molta impressione con 242 strutture irregolari pari al 50% dei locali ispezionati. A finire nella bufera i ristoratori che utilizzano la formula degli “all you can eat“: chiuse o sospese 22 attività e sequestrate circa 128 tonnellate di cibo.
Questa triste vicenda dimostra in prima battuta che siamo un paese che ha una buona rete di controllo e dove la sicurezza degli alimenti è in buone mani, magari si può dire che le mani sono troppe e una migliore organizzazione renderebbe tutto più efficiente, ma di certo non siamo consumatori abbandonati a noi stessi.
La stessa vicenda dimostra che un approccio low cost, della concorrenza basata sul prezzo, ha dei rischi impliciti. Abbassare i costi della ristorazione si può fare limando i margini di guadagno dell’azienda o, nei casi peggiori, riducendo i costi dei lavoratori, quelli della sicurezza sul posto di lavoro ma è ancora più facile ridurre costi delle materie prime.
Così facendo si discute il pilastro più importante della qualità degli alimenti che ci ricorda che “la sicurezza non può essere mai un bene contrattabile o fungibile”.
In altre parole posso accettare di pagare meno per porzioni più piccole, oppure per un minore coinvolgimento sensoriale, o sacrificando ad esempio il legame col mio territorio.
Non si comprende come si possa mangiare quanto si vuole e spendendo poco senza correre il rischio di avere delle materie prime più scadenti, mal conservate, ancora meno bene utilizzate.
Inoltre, l’”all you can eat” fa perdere di vista che bisogna alimentarsi nei modi e nelle quantità giuste. Il miraggio del piatto sempre pieno, senza pagare oltre, e mettendoci quello che si vuole, inevitabilmente fa cadere nell’abuso e nella cattiva alimentazione.
La scelta non è più guidata dal piacere o dalle proprie necessità quanto dalla voglia di non sprecare l’occasione di riempirsi lo stomaco oltremisura a costo fissi.
La moda degli “all can you eat” è a mio parere la figlia più evidente dello spreco alimentare, della mancanza di amore verso il cibo che conduce a esagerare e valicare in un baleno il confine tra la corretta alimentazione e l’alimentazione errata.