Nel 2018 ExxonMobil, Shell, Chevron, BP e Total hanno speso circa 200 milioni di dollari per attività di lobbying anti-ecologica, per influenzare l’agenda politica dei governi sulle azioni da intraprendere per contrastare i cambiamenti climatici dopo l’accordo di Parigi. È quello che è riuscita a ricostruire la Ong anglosassone InfluenceMap
In altre parole in un solo anno, il 2018, lo stesso nel quale si è imposto nel mondo il messaggio e monito di Greta Thumberg, “skolstrejk for klimat” (sciopero della scuola per il clima), le lobby del petrolio hanno investito una marea di dollari per contrastare gli ecologisti.
“Sorprendentemente, le cinque major petrolifere prevedono un mero 3% delle loro spese in conto capitale per il 2019 verso tecnologie a basse emissioni di carbonio, mentre 110,4 miliardi di dollari saranno investiti in più petrolio e gas” ha spiegato uno degli autori del report. “Abbiamo ancora 11 anni per fermare il caos climatico: non ci può essere alcuna giustificazione per le compagnie petrolifere ad opporsi apertamente alla regolamentazione dei suoi prodotti basata sulle emissioni. Non dovremmo ringraziare l’amministrazione Trump per aver abbandonato la regolamentazione del settore, né per il contrasto verso l’energia rinnovabile“.
Ma come si esplica l’attività di influenza e di pressione da parte di Big Oil? I modi sono molti come mette in evidenza il report di InfluenceMpa: dal tentativo di modificare le normative approvate a livello nazionale e internazionale, fino alle pressioni sui giornalisti; dai contatti diretti con parlamentari (tramite studi affermati di lobbyng) al ricorso di studi e ricerche per “screditare” gli oppositori, come gli inermi ragazzi che il venerdì raccolgono il grido di Greta e riempiono le piazze per dire stop ai cambiamenti climatici.
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