La nuova formulazione del farmaco Levothyrox, accusato di aver causato danni anche gravi a migliaia di persone in Francia, è stata approvata per la commercializzazione in maniera troppo superficiale. A dirlo sono i ricercatori di un gruppo guidato dall’Università di Tolosa, che ha esaminato i dati forniti dal laboratorio Merck all’Agenzia per la sicurezza dei farmaci (Ansm) durante la convalida della sua nuova formula a base di levotiroxina, prescritta contro l’ipotiroidismo. Come riporta Le Figaro, in una “lettera di parere” pubblicata dalla rivista Clinical Pharmacokinetics, gli autori ritengono che le analisi eseguite da Merck non fossero sufficienti a convalidare la sostituzione di una formula con l’altra. Circa 31mila segnalazioni di effetti collaterali sono state fatte tra marzo 2017, la data del cambio di formula e aprile 2018. Secondo gli autori di Tolosa, i dati forniti dall’azienda farmaceutica non avrebbero dovuto consentire “l’ipotesi che i due prodotti, essendo bioequivalenti, fossero anche intercambiabili” senza prendere precauzioni speciali. Si dice che due farmaci siano bioequivalenti quando somministrati alla stessa concentrazione si comportano allo stesso modo nel corpo.
Come sono arrivati a questa conclusione?
I dati di laboratorio riportati dal team di Tolosa sono i risultati di uno studio di “bioequivalenza media”, condotto da Merck con oltre 200 volontari sani nel 2014. Per confrontare il destino dei due prodotti nel organismo, i partecipanti hanno preso una formulazione, poi l’altra, e sono stati sottoposti a esami del sangue più volte per 72 ore. Le due formulazioni si distinguono per il loro eccipiente (il rivestimento del principio attivo): la prima conteneva lattosio, la nuova mannitolo e acido citrico. D’altra parte, l’ingrediente attivo (levotiroxina) è identico.
La bioequivalenza è un’altra cosa
Gli studi di bioequivalenza non sono progettati per valutare l’efficacia del farmaco testato o la sua tossicità. “La bioequivalenza è definita in base a tre parametri”, spiega a Le Figaro il professor François Chast, farmacista ospedaliero e presidente onorario della National Academy of Pharmacy: “biodisponibilità (la frazione del farmaco effettivamente assorbita dal corpo), tempo per ottenere una concentrazione massimo nel sangue e livello di questa massima concentrazione. Quando questi tre parametri sono molto simili tra due prodotti farmaceutici, sono considerati “bioequivalenti”. “Uno studio sulla bioequivalenza media è molto buono per mettere un generico sul mercato”, riconosce il professor Figaro Pierre-Louis Toutain, la Scuola veterinaria nazionale di Tolosa (Università di Tolosa) e autore dello Studio di Tolosa “Ma quando imponiamo una sostituzione per quasi 3 milioni di persone, c’è un consenso scientifico sul fatto che non si dovrebbe usare uno studio di bioequivalenza medio”. Poiché questa media rischia di mascherare le disparità individuali significative, in particolare per quanto riguarda un farmaco come questo, il cui “margine terapeutico” (la differenza tra la dose efficace e la dose tossica) è ristretto.