Il sospetto c’era da tempo, adesso lo ammette anche la stessa Caritas italiana che, seppur non gestendo in prima persona la filiera degli indumenti raccolti nei cassonetti gialli e destinati agli indigenti, è informata sull’attività della Caritas diocesana: esiste un mercato nero gestito dalla camorra che smercia questi indumenti. L’organismo della Cei è stata ascoltato in audizione alla commissione bilaterale Ecomafie che sta concludendo un’inchiesta sul riciclo di abiti usati: “Da circa un anno Caritas italiana sta lavorando a una ricognizione sull’utilizzo del suo marchio sui cassonetti gialli per la raccolta degli abiti usati, per evitare che gli indumenti raccolti finiscano sul mercato nero gestito dalla camorra” hanno spiegato i rappresentanti Francesco Marsico e Monica Tola.
L’inchiesta della Commissione Ecomafie è partita a seguito di una relazione della Direzione Nazionale Antimafia. Per questa “buona parte delle donazioni di indumenti usati che i cittadini fanno per solidarietà finiscono per alimentare un traffico illecito, dal quale camorristi e sodali di camorristi traggono enormi profitti”. Al centro dell’inchiesta una onlus fittizia che aveva collocato cassonetti gialli per i vestiti usati in un centinaio di comuni delle province di Milano, Varese, Udine e Savona e prometteva di inviarli in Africa per gli indigenti. E invece, come ha scoperto l’inchiesta condotta dal comandante Piero Vincenti, in collaborazione con la Dda (la Direzione distrettuale antimafia), i vestiti venivano venduti in Tunisia o nelle province di Napoli e Caserta. L’argomento era finito anche in Parlamento dove la Rete Onu (la Rete nazionale degli operatori dell’usato) insieme a Stefano Vignaroli, deputato del Movimento 5 Stelle, capogruppo della commissione Ambiente alla Camera, primo firmatario, hanno presentato una proposta di legge per definire una volta per tutte il vasto mercato del riutilizzo.
Secondo quanto riferito dai due rappresentanti, per Caritas italiana risulta molto complicato tenere sotto controllo l’attività delle parrocchie su questi ambiti. Marsico e Tola hanno spiegato che il coordinamento tra le realtà diocesane rispetto alle attività di gestione degli abiti usati è fuori dal compito istituzionale di Caritas italiana, pur essendo essa stessa titolare del marchio, e rappresenta un costo che questa non può permettersi.