Il “caso” Fortnite: il videogioco che in pochi mesi è già storia

È un mercato che ha fatturato nel 2018 137,9 miliardi di dollari, più del settore cinema e musica insieme, e che riguarda oltre due miliardi di persone nel mondo, quello dei videogiochi. Sono dati forniti da Newzoo che produce un report del mercato globale del settore, in cui emerge con forza il “caso Fortnite”, esploso come mai era successo in pochissimo tempo, visto che nel 2018, molto velocemente, ha guadagnato più di 150 milioni di utenti, secondo Statista e su dati Epic games, l’industria che ha creato anche Fortnite, tra gli altri giochi.

“Questo gioco ha già fatto la storia”, commenta Ivan Venturi, imprenditore italiano e creatore di videogiochi, pioniere nel suo campo. Che sia così lo dicono i numeri e la frequenza con cui si parla di questo gioco, sia tra adolescenti e genitori di adolescenti (anche se viene giocato anche da un pubblico adulto), ma come sia riuscito a lasciare in pochi mesi un segno così indelebile, è per Venturi, un insieme di circostanze: “Ricordiamo che Fortnite è una creazione della Epic Games, l’industria che ha inventato il genere sparatutto in prima persona; loro sono i maestri di questo genere”. La Epic games negli anni ha perfezionato un “motore grafico specializzato nel multiplayer (più giocatori al contempo) a cui tutti fanno riferimento”, spiega Venturi. Cosa significa?: “Se qualche tempo fa per introdurre in un gioco dell’acqua che fosse realistica, dovevo programmarla da solo, oggi posso fare riferimento a questi motori grafici, ad un ambiente di lavoro specifico”.

Niente sangue

All’inizio Fortnite era un gioco che funzionava “così così, poi sono state introdotte alcune cose ed è esploso”. Una di queste è l’inserimento del genere battle royale: un numero limitato di persone gioca dentro un’isola che diventa sempre più piccola fino a che non resta solo uno, il vincitore. È un gioco di fascia alta, e per farlo girare è necessario un server enorme come quello della Epic games e non tutti i device lo reggono, ad esempio: “L’altra rivoluzione del settore prodotta è relativa alla distribuzione: EG ha deciso di farla da solo sfidando la piattaforma Steam”. Poi, per Venturi, il fatto che la Epic Games sia stata acquisita al 40% del colosso cinese Tencent, ha in qualche modo influenzato anche la modalità con sui è realizzato Fornite: “La visione che passa è più orientale, non c’è il culto della violenza anglosassone, non c’è sangue e un genitore lo vede come meno violento”. Ed è effettivamente così anche per l’Aesvi, l’associazione editori sviluppatori videogiochi italiani: “C’è violenza e violenza”, fanno sapere. Non c’è sangue, non c’è “la violenza senza rimorso di Gta 5 che un bambino non dovrebbe provare”, secondo Venturi.

Dal possesso all’accesso

L’altra peculiarità di Fortnite – sottolineata anche da Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta della fondazione milanese Minotauro e docente alla Bicocca che si occupa da sempre di temi legati al mondo dell’adolescenza e dei giovani adulti – è legata al fatto che si tratta di un gioco scaricabile gratuitamente – grande novità per questa fascia – ma dove si acquistano equipaggiamenti come vestiti e gadget o balletti: quelli di Fornite sono ormai celebri e i ragazzini si “riconoscono” anche per strada come giocatori quando simulano la coreografia del videogioco. Si è passati, insomma, per Venturi “dalla cultura del possesso a quella dell’accesso”. E l’acquisto “in game”, durante il gioco, è ciò che ha determinato gli incassi strepitosi. Attraverso questa modalità, il meccanismo psicologico – che è alla base di ogni videogioco, dove vengono “distribuite frustrazioni e successi” – funziona perché anche il ragazzino vuole “farsi riconoscere” attraverso le attrezzature del personaggio del gioco. Inoltre, come sottolinea Emiliano Matarazzo – collezionista di videogiochi retrò, appassionato e giocatore – “gli streamer e gli youtuber danno forza maggiore al gioco attorno al quale si crea, tra il pubblico dei giovanissimi, una sorta di comunità” che spesso è reale oltre che virtuale, visto che gli amici si danno appuntamento per giocare le battaglie insieme dalle proprie case, on line.

Non demonizzare i videogiochi

L’Italia è il quinto mercato europeo per i videogiochi e il decimo su scala mondiale, ricordano da Aesvi, tanto che nel 2017 il giro d’affari del settore, tra hardware e software è stato di quasi un milione e mezzo di euro. “Il 57% della popolazione italiana tra i 16 e i 64 ha dichiarato di aver giocato ai videogiochi nel corso del 2017”, come sottolinea Thalita Malago, direttore generale di Aesvi: utilizzano soprattutto telefoni e tablet seguiti dalle più diffuse consolle. La “buona” notizia è che il 67% dei genitori dichiara di giocare ai videogiochi con i propri figli, il 41% sotto i 15 anni. Perché per Venturi, una cosa è certa: “I genitori oggi non hanno alibi; hanno molti strumenti per capire se un gioco è adatto al proprio figlio, a partire dagli indicatori forniti dal Pegi che segnala le età consigliate: demonizzare non ha senso, ma aiutare i figli a sviluppare spirito critico rispetto ai giochi a cui sono interessati sì”. Senza dimenticare che non tutti i giochi sono “sparatutto” perché ne esistono di ogni tipo, spesso così narrativi “da coinvolgere proprio come può fare un film dal punto di vista emotivo”, spiegano da Aesvi. “Il videogioco oggi può assumere i connotati di uno strumento in grado di veicolare contenuti culturali verso un pubblico sempre più difficile da raggiungere mediante gli strumenti tradizionali – spiega Malago – Contemporaneamente il videogioco come opera culturale può assumere anche i connotati dell’opera artistica, come dimostrato dalle esperienze del MoMA di New York o del Victoria & Albert Museum di Londra: luoghi di arte e cultura che al videogioco hanno dedicato installazioni, percorsi espositivi e museali, con la possibilità per il pubblico di scoprire la profondità dello sforzo creativo che risiede all’interno di esso”.

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Il cortile 2.0

Se si resta sul piano delle emozioni, Lancini è molto chiaro: “Come per tutti i videogiochi è importante capire se l’uso è adattivo/evolutivo o abusivo, perché il fatto su cui bisogna certamente fare i conti è che la loro diffusione sarà sempre più elevata”. È un “nuovo corso” quello a cui assistiamo e l’”aspetto affettivo e relazionale è ciò a cui dobbiamo guardare con attenzione”. Per Lancini, infatti, “è certo che il gioco spontaneo è molto meno diffuso rispetto a qualche decennio fa, quando c’erano i cortili e le guerre si facevano con le fionde, le cerbottane e le mani nei cortili”. Oggi “il mondo adulto ha deciso di chiudere questi cortili a causa di paure non sempre fondate: il ‘sovranismo psichico’ fotografato dall’ultimo rapporto del Censis, che parla di un Paese arrabbiato che vede fuori da se’ pericoli e capri espiatori non fa che confermare questa tendenza”. Se scarseggiano i modelli identificativi reali, i videogiochi rispondono anche a questa esigenza di relazionarsi con gli altri e con il proprio corpo, anche se in modo virtuale”. Inoltre, l”estetica fumettistica” di Fortnite ha quella forza attrattiva in più sui ragazzi che si trovano in un’età in cui devono riconoscersi ed essere riconosciuti, anche attraverso una battaglia virtuale e un balletto.