La fast fashion, la moda veloce, impone un elevato tasso di sostituzione degli abiti, a basso prezzo e di qualità conseguente dove la prevalenza della fibra mista la fa da padrona. Sempre più difficile (e costosa) da riciclare e per questo destinata a aumentare i rifiuti in discarica.
Il numero di volte in cui un capo è indossato è diminuito del 36%
Il magazine Valori, in una lunga e dettagliata inchiesta, denuncia come vestiti di bassa qualità e realizzati con materiali difficili da riciclare stanno mettendo in crisi il circuito del riuso. “Il 2018 sarà – scrive Corrado Fontana autore dell’inchiesta – il primo anno nel quale più della metà delle vendite di capi di vestiario e calzature avrà avuto origine al di fuori di Europa e Nord America“. I principali produttori in ascesa nel settore sonoi paesi emergenti dell’area Asia-Pacifico e Latino-America. Contemporaneamente la moda compulsiva accorcia la vita media di un abito: “Il numero medio di volte in cui un capo viene indossato prima dello smaltimento è diminuito del 36%. Un dato impressionante che, guardando alla Cina, arriva addirittura al 70%”.
L’acrilico ha superato il cotone
L’altra novità riguarda la materia prima, il tipo di fibra: il poliestere ha scalzato il cotone, diventando il tessuto più utilizzato dall’inizio del ventunesimo secolo. Parallelamente crescono il ricorso a fibre miste, cotone-acrilico o cotone-elastene che sono molto difficili da riciclare e per questo finiscono a gonfiare le già colme discariche indifferenziate del mondo.
Scrive Valori: “Gli indumenti al 100% in poliestere, al di là delle valutazioni di pregio e qualità, sono infatti relativamente facili da riconvertire in materiale riutilizzabile. Ben diverso è il caso di miscele con fibra naturale, ad esempio cotone e poliestere. Questi mix, ad oggi, sono essenzialmente non riciclabili: le due componenti infatti non possono essere separate a basso costo”. Non solo: anche il cotone in purezza mostra problemi per essere riutilizzato visto che dopo il processo di riciclo le fibre diventano assai più corte.
I jeans? Non sono ignifughi
In Francia da tempo i jeans vengono avviati al recupero per produrre un “materiale di isolamento termico e acustico che si chiama Métisse, ignifugo, 100% cotone” ma visto che i jeans hanno al loro interno, per la maggior parte, un 3-4% di elastene, che ignifugo non è, questosta creando moltissimi problemi a questi stabilimenti di riciclaggio. L’alternativa? La discarica. “Attualmente – conclude il reportage – circa il 70% degli indumenti usati raccolti viene riutilizzato, il 25% si trasforma in fibra e filati, il 5% finisce bruciato nei termovalorizzatori“.
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