Sangue infetto: il libro che rompe il silenzio su anni di processi sulla pelle delle vittime

“Sangue infetto”. Due parole che in molti di noi evocano uno dei casi sanitari internazionali e italiani più sconvolgenti. Decine di migliaia di persone contagiate in tutto il mondo dai virus dell’Aids e dell’epatite C, solo per aver usato farmaci e terapie che avrebbero dovuto salvarli e invece in molti casi li hanno condannati. Un caso nato a metà degli anni 80 e trascinatosi per anni, tra inchieste della magistratura, processi (quelli penali si sono conclusi tutti con delle assoluzioni e l’ultimo, in corso a Napoli e relativo a otto casi, dovrebbe andare a sentenza entro pochi mesi), richieste di risarcimento presentate al Ministero della Salute.

Michele De Lucia, una decina di anni fa riceve una richiesta di aiuto da Andrea Spinetti del Comitato vittime sangue infetto. All’epoca Michele è il tesoriere di Radicali italiani e si sente dire “Non riusciamo a far uscire questa storia, soprattutto per quanto riguarda i risarcimenti dovuti dallo Stato, dacci una mano a superare l’indifferenza dei media”.

Ci racconta: “Io li propongo su Radio Radicale, li aiuto a organizzare qualche conferenza stampa, li metto in contatto con l’Associazione Coscioni. Cerco, insomma, di dargli voce. Man mano che vado avanti, però, non mi torna il modo di raccontare questa storia. La strage degli innocenti in cui c’è il cattivo – Big Pharma – che col silenzio dei governi era criminalmente passata sopra la pelle di decine di migliaia di persone… un po’ troppo semplice per rendere chiaro quello che era successo, come era successo e soprattutto perché mai era accaduto”.

Michele quattro anni fa si mette a studiare e decide di raccogliere tutte le carte dei casi giudiziari. “Centinaia di pagine dalle quali emergevano verità sorprendenti, spesso distanti anni-luce dalla vulgata che io stesso inizialmente avevo preso per buona, e allora mi metto in testa di approfondire. Per prima cosa, costruendomi una gigantesca cronologia per orientarmi nella ragnatela di questa vicenda durata decenni. A quel punto ho capito che un caso come questo non poteva essere raccontato retrospettivamente, con il senno di poi, se non pagando il prezzo di distorcere i fatti: chi salirebbe su un aereo se sapesse che è destinato a precipitare?”.

Quello che ne uscito in questi giorni è un libro che certamente farà discutere: Sangue infetto, una catastrofe sanitaria, un incredibile caso giudiziario (Mimesis/Sx, 474 pagine, 25 euro), prefazione di Fernando Aiuti.

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QUALCOSA NON TORNA

Ne abbiamo parlato assieme a Michele De Lucia, chiedendogli innanzitutto, cos’è che non lo convinceva delle tante ricostruzioni che negli anni si sono fatte di quella vicenda.

“Partiamo proprio dalle date: il picco di Hiv c’è stato nell’autunno del 1982, quando non era stato ancora scoperto il virus, non si sapeva come si trasmetteva, non esistevano i test per rilevarlo e non esistevano i metodi per renderlo inoffensivo. La prima licenza Usa per la commercializzazione del test Elisa è del marzo 1985. Inoltre negli anni Ottanta quella che oggi è nota come epatite C era chiamata “epatite non A non B”; non se ne conosceva ancora la gravità, perché i suoi effetti si manifestano solo dopo molto tempo, per cui, di fronte a farmaci salvavita come gli emoderivati, gli scienziati e i medici la consideravano, al pari delle altre epatiti, un rischio accettabile. C’è poi una costatazione che nelle ricostruzioni giornalistiche italiane e nelle stesse inchieste giudiziarie – non nelle sentenze che ne sono scaturite – è sempre rimasta in secondo piano o completamente ignorata, portando su una strada sbagliata”.

Quale?

Nel 1982 Maurizio Pocchiari, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, dichiarava che in Italia per gli emoderivati dipendevamo interamente dagli Usa, non avevamo né regole, né produzione e ci dovevamo affidare alla Food and drug administration.

LO SCANDALO DEL SANGUE A RISCHIO

E qui nasce il problema, perché negli Stati Uniti i donatori erano a pagamento…

Anche qui va fatta chiarezza, confrontandosi con la realtà e non, come spesso ha fatto anche l’OMS, con un mondo magari bellissimo, ma immaginario. La donazione di plasma – diversamente da quella di sangue, che si può ripetere solo dopo qualche mese – si può fare anche dopo qualche giorno, ma è un procedimento complesso che richiede almeno due ore e mezza ogni volta, non i pochi minuti di una normale donazione di sangue. Gli ultimi cinquant’anni dimostrano che mentre lavorando sodo si può raggiungere l’autosufficienza per il sangue intero, ancora oggi è impossibile garantire il fabbisogno di plasma ricorrendo solo a donatori gratuiti. Naturalmente negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, il plasma lo vendeva soprattutto chi aveva più bisogno di soldi per sbarcare il lunario, anche molti disperati che vivevano in pessime in condizioni igienico-sanitarie e la cui salute era precaria, per non parlare dei detenuti. C’erano situazioni da far rizzare i capelli, ma si pensava di aver a che fare con le epatiti come erano conosciute allora: poi l’arrivo dell’Aids ha fatto saltare il banco. L’altra grande balla è che “gratuito” equivalga a “sicuro”: Aids e epatite C si sono diffuse anche attraverso il sangue utilizzato dagli ospedali italiani, che viene tutto da donatori gratuiti. E la Francia, altra patria della donazione gratuita, ha avuto tassi di contagio tra i più alti.

Tra le accuse a Big Pharma, c’è quella di non aver usato un metodo di “lavaggio” ematico che pure esisteva…

Sai perché non lo usavano? Perché distruggeva fino al 90% del principio attivo e aveva alla base una sostanza cancerogena. Nel 1985 i ricercatori finalmente hanno messo a punto un metodo efficace per l’Hiv e parzialmente per l’epatite C. E in questo caso l’industria lo utilizza da subito, come è ovvio e naturale. Continuare a dire alle vittime che “si poteva fare tutto, e invece non si è fatto niente” significa aggiungere al danno la beffa. Occorre piuttosto capire, questo sì retrospettivamente, quali errori potevano essere evitati, per farci trovare pronti ed essere capaci almeno di ridurre il danno nel caso che in futuro si presenti sulla scena un nuovo virus sconosciuto. Prima o poi potrebbe accadere. Nel libro questi aspetti sono analizzati ripercorrendo i fatti in dettaglio, minuto per minuto.

INCHIESTE RIBALTATE

Michele, non temi che una ricostruzione di questo genere possa lasciare le vittime con l’amaro in bocca?

No, penso che invece la apprezzeranno. Il problema sarà semmai di quella informazione che per tanti anni ha dipinto ai loro occhi i corrotti De Lorenzo e Poggiolini come dei macellai, e non era vero, o ha curiosamente parlato solo delle aziende del Gruppo Marcucci, tralasciando di dire che nel 1985 la quota di quelle aziende nel mercato italiano era inferiore al 7 per cento e facendo finta che gli atti processuali e le sentenze di assoluzione non esistessero.

Stai ribaltando, Michele, la logica dei molti processi che si sono svolti in Italia sullo scandalo del sangue infetto…

È stata ribaltata la logica delle inchieste, e l’hanno ribaltata i processi: è molto diverso. Il mio libro presenta fatti, non teoremi, non fa sconti a nessuno e credo sia uno strumento utile per conoscere e discutere. Marco Pannella negli ultimi anni della sua vita parlava di “diritto umano alla conoscenza”, e ho lavorato seguendo quel criterio. Poi ho riletto il libro con Andrea Spinetti per capire come questo lavoro sarebbe potuto arrivare a chi aveva vissuto la tragedia sulla propria pelle. “Hai scritto il libro che avrei voluto scrivere io”, ha detto,  “mi dai modo finalmente di girare pagina”. Ecco, se c’è qualcosa che mi premeva era proprio questo. E spero che il libro possa contribuire a rompere il silenzio su un fronte ancora aperto: la battaglia delle vittime per ottenere indennizzi e risarcimenti da uno Stato che ha giocato persino sulle prescrizioni per non pagare. Senza dimenticare l’incapacità di una politica che avrebbe dovuto comunque prevedere un welfare ad hoc per le vittime e invece ha voltato loro le spalle: perché se hai preso l’epatite C con una trasfusione negli anni Settanta, non puoi essere abbandonato al tuo destino solo perché ti sei trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato.